Santa Maria alla Fontana: nel quartiere Isola, tra i grattacieli e i locali della movida, si nasconde un angolo che conserva il fascino delle antiche tradizioni, di riti dai sapori antichi che resistono accanto alla modernità. Un angolo di profonda spiritualità, in cui il tempo sembra per un attimo sospendersi.
Lasciamo per un attimo gli spettacolari grattacieli di Porta Garibaldi e addentriamoci in piazza Santa Maria alla Fontana: entriamo nel vecchio chiostro, dietro la chiesa e scopriamo quella che viene definita la piccola Lourdes di Milano. La storia e l’edificazione di questa chiesa ruotano infatti intorno ad una fonte di acqua sorgiva conosciuta fin dall’antichità e considerata miracolosa. Aiutiamoci con l’immaginazione e facciamo un salto nel tempo.
Siamo nel 1500 e questa zona era fuori dalle mura cittadine, praticamente disabitata, ricca di boschi e acque sorgive (Milano, detta per un motivo città d’acqua). Ancora prima dell’edificazione del santuario, l’area era oggetto di devozione popolare: infatti era frequentata da pellegrini, attratti dalla credenza nel potere taumaturgico delle fonti qui presenti. In particolare nella stessa area che oggi ospita il santuario, era presente una piccola chiesa votiva al cui centro erano presenti due scale da cui si raggiungeva una cavità con una lastra di pietra su una delle pareti. Da questa lastra 11 rubinetti facevano sgorgare acqua purissima, ritenuta miracolosa per disturbi dell’apparato osteo-articolare. Documenti rinvenuti in epoche recenti testimoniano come già nei primi decenni del secolo 500 zona fosse tra i principali luoghi di cura della città. Ma come ogni buona storia, anche questa ha il suo miracolo fondativo.
Il miracolo fondativo
A metà del 500 il governatore di Milano era un francese, Carlo d’Amboise: affetto da un grave disturbo della vista, dopo anni di cure di vario tipo, decise di recarsi in pellegrinaggio presso le fonti miracolose. Ovviamente accadde il miracolo: la cecità fu scongiurata e come voto il nostro francese decise di far erigere un santuario dedicato alla Madonna. In virtù di questo voto, nel 1507 iniziarono i lavori di edificazione della chiesa. Ma ogni storia che si rispetti, oltre al miracolo, deve essere anche circondata da leggende. In questo caso, ad essere ammantata di un alone di mistero è la paternità dell’opera.
La paternità dell’opera
Per secoli infatti si sono rincorse voci che hanno chiamato in causa due mostri sacri della nostra arte Leonardo e Bramante. In particolare Leonardo è stato ritenuto il progettista del santuario per diverse ragioni. In primo luogo per il suo legame con l’acqua e i suoi studi su questo elemento, dalle chiuse ai traghetti (famoso il leggendario traghetto di Leonardo). Inoltre Leonardo era in rapporti di amicizia con il governatore francese: in virtù di questi rapporti al genio vinciano era stata commissionata la costruzione di una villa per il D’Amboise. E proprio i progetti per questa villa presentano analogie strutturali e distributive con quelli per la costruzione del santuario di Santa Maria alla Fontana. Tuttavia questa suggestiva ipotesi è stata smontata in via definitiva nel 1982 con il ritrovamento, da parte dell’archivista Grazioso Sironi, di un contratto del 17 Marzo 1507 in cui il progettista ed esecutore risulta essere l’architetto Giovanni Antonio Amadeo. Una lapide a lato del santuario ricorda la data della posa della prima pietra dell’Oratorio: 29 Settembre 1507, anche se un atto notarile dell’epoca fa risalire l’inizio dei lavori al 20 marzo 1508.
Il Santuario
La fonte doveva ovviamente essere il cuore del nuovo santuario che fu edificato su due livelli: a quello inferiore era presente una vasca in cui i pellegrini potevano immergersi mentre al livello superiore si trovava il santuario vero e proprio. I due livelli erano tra loro comunicanti: in questo modo le funzioni che si svolgevano nella chiesa potevano essere seguite anche dal livello inferiore. Nel complesso, la struttura finale si presentava come un Oratorio munito di due ampi chiostri. Questa struttura a due livelli si è mantenuta fino a giorni nostri: il nucleo originale comunica con il livello superiore attraverso una stretta scala. E ancora oggi l’acqua sgorga dagli 11 rubinetti. Ma qui veniamo al primo dei molti incidenti che hanno afflitto Santa Maria alla Fontana. Tuttavia prima di affrontare questo argomento, continuiamo la nostra storia seguendo l’ordine cronologico degli avvenimenti. Infatti prima dell’incidente alla fonte, un altro evento infausto ha segnato la storia del Santuario. In partenza i proprietari del luogo erano i Benedettini di San Simpliciano, i quali lo cedettero nel 1547 ai monaci di San Francesco di Paola: è a questo punto della storia che il Santuario subisce il primo affronto. I nuovi proprietari decisero di ampliare la costruzione ma stravolgendone completamente lo spirito. I chiostri infatti vennero chiusi e i due livelli furono resi non più comunicanti. Quello che era un santuario aperto all’accoglienza divenne di fatto un monastero. Come se non bastasse, i monaci ottennero nel 1599 un luogo di culto di dimensioni maggiori: di conseguenza Santa Maria alla Fonte andò progressivamente ridimensionandosi, riducendosi a semplice parrocchia per la manciata di abitanti del luogo. Passano i secoli e arriviamo all’anno dell’incidente vero e proprio: il 1877. Siamo in un’epoca di forte espansione urbanistica, demografica e industriale. Proprio da una delle fabbriche si verifica uno sversamento di bitume cui seguirà un incendio che andrà ad ostruire i condotti delle acque del sottosuolo. A causa di questo incidente la falda fu irrimediabilmente compromessa, rendendo non più potabile l’acqua. Da allora l’acqua che fuoriesce dai rubinetti del santuario altro non è che quella dell’acquedotto comunale. Ma visto che l’esperienza non sembra insegnare nulla, nel 1920 si decide di ampliare Santa Maria alla Fontana, per far fronte all’aumento degli abitanti della zona. Il progetto venne affidato agli architetti Alberto Griffini e Paolo Cesa Bianchi, in seguito anche al Mezzanotte: il risultato fu un totale stravolgimento della facciata. E per non farsi mancare nulla, ecco arrivare l’Edison che ottiene il permesso di impiantare la più importante sottostazione elettrica del nord Milano esattamente a fianco della chiesa. E ovviamente a questa lunga lista dobbiamo aggiungere i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale: aventi come obiettivo proprio l’Edison, danneggiarono in modo importante la struttura del santuario di Santa Maria alla Fontana. Fortunatamente i lavori di restauro degli anni ’50 vennero eseguiti nel rispetto delle forme originarie: vennero eliminate parecchie strutture addossate al santuario nei secoli precedenti e fu ritrovata e ripristinata la lastra in pietra originaria da cui usciva l’acqua miracolosa.
La storia di Santa Maria alla Fontana costituisce un monito affinché la salvaguardia del pianeta e delle sue preziose risorse naturali non rimanga solo uno vuoto slogan politico. L’incidente accaduto alla falda acquifera rappresenta l’importanza dell’acqua come bene comune: un bene cui dobbiamo prestare costantemente prestare attenzione.