San Vincenzo in Prato: la casa del Mago, una delle chiese più antiche e più ignorate della nostra città. Ripercorriamo a ritroso la storia e risaliamo alla fondazione di questa piccola meraviglia che ci attende con i suoi tesori, un piccolo scrigno nel cuore della città, una sorta di macchina del tempo che ci permette di esplorare in un unico luogo la Milano longobarda, la Milano romana e quella medioevale fino a giungere all’età industriale, con le sue prime fabbriche e ciminiere, per giungere infine alle soglie del Novecento.
La storia
San Vincenzo in Prato è tra le chiese più antiche di Milano: originariamente dedicata alla Vergine, la sua fondazione risalirebbe, secondo alcuni studiosi, a un periodo immediatamente successivo all’editto di Costantino del 313, sui resti di un oratorio cimiteriale di origini romane che si estendeva tra la via Vercellina e quella Ticinese. Secoli dopo, nel 770, il re longobardo Desiderio vi avrebbe annesso un monastero che sarebbe poi stato assegnato ai Benedettini. L’appellativo “in Prato” sembrerebbe derivare dall’originaria denominazione della zona, appartenente al vescovo Odelperto e detta, appunto, Pratum. In seguito al ritrovamento nel 859, quando il priorato era retto dai monaci benedettini, dei resti di San Vincenzo in una cripta nel cimitero nelle vicinanze, la chiesa venne dedicata a questo Santo e probabilmente contestualmente ingrandita. Come abbastanza ovvio, visto i suoi numerosi secoli di vita, San Vincenzo in Prato è stata sottoposta a diversi interventi di restauro: i primi si resero necessari tra il IX e XI secolo ma mantennero comunque le antiche forme della chiesa. Ulteriori interventi vennero promossi nel 1386 dall’abate Beno dei Petroni di Bernareggio mentre nel 1464 gli Zavattari lavorarono alle decorazioni dell’abside. Come abbiamo avuto modo di imparare nel corso dei nostri excursus storici, nel corso del 500 le congregazioni monastiche vennero soppresse e San Vincenzo in Prato non sfuggì a questa sorte: nel 1520, dopo l’abolizione del monastero, la chiesa venne adibita a parrocchia e dotata di un campanile barocco (fino ad allora mancante). Nel ‘700 San Vincenzo in Prato visse un periodo di rinnovato splendore: fu infatti restaurata e vennero collocati all’interno dipinti di Giuseppe Ripamonti e Pietro Maggi. Anche per San Vincenzo in Prato la discesa di Napoleone in Italia comportò la sua sconsacrazione nel 1729, cui seguì un periodo caratterizzato da diverse designazioni d’uso: magazzino militare, stalla e caserma. Ma, caso unico nella storia degli edifici sacri, San Vincenzo in Prato venne anche convertita, nella prima decade del 1800, a fabbrica di acidi. E proprio qui origina lo strano soprannome che si è guadagnata e con cui l’abbiamo presentata: la casa del Mago. All’epoca di cui stiamo parlando infatti, questa zona di Milano era sufficientemente isolata, aperta e immersa nei prati, tutte caratteristiche che la rendevano sede ideale per ospitare quella che era stata la prima fabbrica chimica italiana fondata da Francesco Bossi, deputata alla produzione di acido solforico. La fabbrica era precedentemente collocata nell’ex convento di San Gerolamo dalle parti di Porta Vercellina, nell’odierna via Carducci, da cui dovette traslocare in seguito alle forti contestazioni da parte della popolazione proprio per i suoi terribili miasmi. Rilevata in seguito da Michele Fornara, la fabbrica si insediò quindi nella piccola chiesa di San Vincenzo in Prato dove rimase attiva per gran parte dell’Ottocento e causando nel tempo il danneggiamento della struttura e la perdita di molte decorazioni pittoriche quattrocentesche. Come se non bastasse, il campanile venne riconvertito in ciminiera. A causa dei fumi e vapori che uscivano dalle finestre, dai molti comignoli e da ogni fessura della chiesa, gli abitanti del quartiere iniziarono a riferirsi a San Vincenzo al Prato con il nome, appunto, di Casa del Mago, complice anche la costante illuminazione dell’interno a opera delle caldaie su cui si trovavano storte e alambicchi. A riportarci a queste cupe ambientazioni abbiamo le incisioni di Luigi Conconi che ha realizzato un paio di acqueforti che rappresentano appunto l’interno Di San Vincenzo in Prato riconvertita in fabbrica. Nel 1880 la chiesa venne finalmente riportata alla sua funzione di culto: gli imponenti lavori di restauro, resisi necessari a causa del passato chimico della chiesa, furono affidati all’architetto Gaetano Landriani, già responsabile dei restauri alla vicina Basilica di sant’Ambrogio. Gli interventi conferirono a San Vincenzo in Prato un aspetto neopaelocristiano e furono in alcune circostanze abbastanza arbitrari come la ricostruzione delle piccole absidi laterali, l’abbattimento del campanile con la sua ricostruzione in stile piuttosto discutibile, oltre ad un arredo in stile neoromanico. Fortunatamente queste decorazioni ottocentesche che rendevano l’interno un falso storico vennero ripulite da azioni di restauro eseguite dal 1953 al 1989 che hanno restituito alla chiesa un aspetto maggiormente fedele a quello originario.
Nonostante tutti gli interventi cui San Vincenzo in Prato è stata oggetto nel corso della sua lunga storia, rappresenta un interessante esempio di transizione tra lo stile paleocristiano e quello romanico della fine dell’XI secolo.
Interno “Casa del Mago” Luigi Conconi, acquaforte “Le Streghe” Luigi Conconi, acquaforte “La casa del mago”
La chiesa
L’esterno di questa piccola chiesa, nonostante la sua semplicità e anzi, forse proprio grazie ad essa, è ammantato di un fascino austero: la facciata a salienti di San Vincenzo in Prato è infatti severa e spoglia, aperta da tre semplici portali e da due finestre. Nell’architettura romanica la facciata a salienti è formata da tre parti e dalla successione di spioventi posti a livelli diversi. Solitamente ogni spiovente corrisponde a una navata dell’interno, denunciando così all’esterno la divisione interna della chiesa in navate e la loro corrispondente altezza. Lo stile paleocristiano è rintracciabile nelle numerose e ampie finestre, senza strombature, presenti sui lisci fianchi della chiesa. La strombatura è una conformazione svasata verso l’esterno o verso l’interno di aperture di porte o finestre che garantisce in tal modo un migliore ingresso della luce. A riprova dell’antico passato di San Vincenzo in Prato, sul suo fianco settentrionale si trova murata una serie di reperti della necropoli, rinvenuti durante il restauro ottocentesco: olle cinerarie, lapidi sepolcrali, capitelli e avanzi di transenne marmoree.
Varchiamo ora l’ingresso di San Vincenzo in Prato, pronti ad ammirare i tesori millenari che ci attendono tra queste mura. L’assetto generale dell’interno è di chiara derivazione paleocristiana, confermando così l’ipotesi che sia stata costruita intorno al secolo IX utilizzando parti di un tempio precedente. Le tre navate sono separate da arcate a tutto sesto rette da alte colonne di diverse epoche, con capitelli lavorati: nella parete a sinistra dell’entrata è murata quella di origine paleocristiana che si si trovava all’inizio della fila sinistra, ora sostituita da un esemplare moderno. Per quanto riguarda i capitelli, alcuni risalgono all’inizio dell’epoca romanica mentre altri sono addirittura più antichi, recuperati da edifici precedenti. Per quanto riguarda la parte pittorica, come d’uso nelle chiese romaniche, è scarsamente presente in San Vincenzo in Prato: tuttavia possiamo ammirare alcune importanti opere, aggiunte in periodi successivi. L’abside presenta, infatti, decorazioni eseguite nel XV secolo dagli Zavattari (vetrate della Fabbrica del Duomo; Palazzo Borromeo) mentre sull’altare maggiore è posizionato un affresco della Crocifissione del XV secolo, “la Madonna del pianto” proveniente dalla vicina chiesa di San Calocero demolita negli anni 50 e attribuito alla cerchia del cremonese Cristoforo Moretti. Della stessa provenienza è collocato nella navata destra anche un frammento dell’affresco “la Madonna dell’aiuto” (detta anche “Madonna con Bambino”) collocato La parte absidale è caratterizzata da un’abside centrale scandita da lesene piatte e coronata da fornici mentre le absidi laterali sono opera di ricostruzione. Le lesene, elementi architettonici puramente decorativi, sono dei pilastri verticali che sporgono da una parete muraria, in genere ripetuti ritmicamente e composti da un fusto, a pianta rettangolare, con relativi capitelli e base. Al di sotto del presbiterio, su tre navate sorrette da dieci colonnine dai capitelli scolpiti, si estende la cripta che insieme a quella di San Giovanni in Conca rappresenta un raro esempio di cripta romanica giunta fino a noi.
All’esterno di San Vincenzo in Prato è presente un battistero a pianta ottagonale aggiunto agli inizi del ‘900, a cui si accede attraverso porte in rame sbalzato: al suo interno venne posizionata la Pietra santa proveniente dal fonte battesimale della chiesa di S. Nazaro, demolita nel 1889 per lasciare spazio alla nuova Via Dante.
Facciata esterna con battistero Retro con absidi e battistero Fiancata esterna
San Vincenzo in Prato, navata centrale San Vincenzo in Prato, navata laterale
La cripta, dettaglio
Approfondimenti
Pagina Ufficiale Chiesa di San Vincenzo in Prato
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