Villa Simonetta, la prima villa patrizia rinascimentale di carattere monumentale nei dintorni della città, scenario di balli, amori proibiti e scherzi goliardici. Una splendida villa rinascimentale incastonata nelle vicinanze di via Cenisio, all’angolo tra le vie Stilicone e Principe Eugenio.
La storia
Siamo alla fine del XV secolo, epoca in cui il paesaggio urbano era ovviamente completamente diverso: campi e ampi spazi verdi contraddistinguevano questa che era zona fuori dalle mura di Milano, un panorama che rendeva i dintorni della città ambita meta l’edificazione di dimore gentilizie, degni ritiri della nobiltà cittadina. Non a caso dunque a volere eleggere questa zona come sede della propria residenza fu Gualtiero Bascapè, consigliere di Ludovico il Moro che fece realizzare un casino di caccia per sé e la propria famiglia, dove poter passare i momenti liberi dalle sue attività di funzionario.
Villa Simonetta fu da subito legata alle famiglie più potenti e influenti di Milano, che se ne si contesero la proprietà: alla morte di Bescapè, fu acquistata nel 1554 da Ferrante I Gonzaga, governatore spagnolo della città di Milano, che diede inizio a una serie di lavori volti a trasformare l’edificio in una sontuosa villa che rappresentasse il potere del padrone di case. A questo scopo fu incaricato delle opere di ristrutturazione l’architetto Domenico Giunti, già alle dipendenze del Governatore per i progetti di bastionatura cittadina. I lavori messi in campo dal Giunti furono massici: della precedente struttura fu infatti conservato solo il porticato a cinque arcate del lato est. L’intervento principale che diede alla villa l’aspetto che ancora oggi possiamo ammirare fu l’aggiunta dello lo splendido porticato a capitelli formato da 9 archi, retto da eleganti pilastri e semicolonne addossate, sovrastato da due ordini di logge con balaustre ornate. Inoltre sia gli ambienti interni che quelli esterni furono arricchiti con numerosi cicli di affreschi ad opera di Paolo Giovio, celebranti le imprese del Gonzaga, andati purtroppo perduti.
Fu alla fine del mandato dello spagnolo che la famiglia Simonetta si insediò in questa villa, legandola per sempre al nome della propria casata. Tuttavia i Simonetta avevano in mente ben altri piani per questa dimora: non una residenza di campagna, per ritiri signorili e ricevimenti sontuosi, ma una prigione dorata per una delle appartenenti al loro casato, Clelia. Clelia Simonetta era infatti rimasta vedova quando era ancora giovane, troppo giovane e troppo desiderosa di vivere secondo la morale imperante all’epoca. Clelia si era macchiata di una colpa inaccettabile per la buona società: non si era richiusa in una stretta vedovanza, rinunciando a vivere. Troppo indipendente, andò incontro ai giudizi dei benpensanti che iniziarono a mormorare sulla sua condotta scandalosa, sui suoi molti amanti. Le voci arrivarono alla famiglia Simonetta che preoccupata per il mantenimento del suo buon nome, decise di acquistare la villa, in un luogo distante dalla città, per trasferirvi la giovane vedova e tenersi al riparo dalla sua cattiva condotta. Ma Clelia, che non si era lasciata abbattere dal lutto, di sicuro non si fece arrestare dalle mura di una villa: poco tempo dopo il suo trasferimento infatti, iniziò a organizzare balli e feste nella sua nuova dimora. Villa Simonetta, all’epoca, era dotata di una caratteristica acustica molto peculiare: un’eco strabiliante che poteva ascoltarsi sotto il portico, rendendo di fatto impossibile nascondere quanto accadesse all’interno delle sue stanze. A riprova di questa particolarità, sul muro esterno, sotto il colonnato del pianterreno è presente una scritta che riporta tale prodigio. Addirittura Stendhal giunto in visita a villa Simonetta sostenne di aver sentito risuonare cinquanta volte un colpo partito dalla propria pistola.
La scritta a testimonianza dell’eco
Ma torniamo alla nostra storia. Teniamo presente il periodo storico di cui stiamo parlando: a cavallo del ‘600, con ancora i processi della Santa Inquisizione e la sua caccia alle streghe, con suoi i roghi che nella vicina Milano, in piazza Vetra. E infatti la morale comune iniziò ad additare Clelia di stregoneria Clelia, imputandole anche la sparizione di diversi contadini del circondario: troppo per i genitori della giovane, che decisero di riportarla a casa, dove avrebbero potuto tenerla maggiormente sotto controllo.
La compagnia della teppa
L’uscita di scena di Clelia non fece comunque calare il sipario su villa Simonetta, che continuò a essere al centro delle chiacchiere milanesi e teatro di eventi decisamente particolari. Qui infatti ebbe luogo una delle memorabili gesta della famosa compagnia della teppa, la cui nomea si è mantenuta nel corso dei secoli: non a caso nel 1941 le sue gesta vennero anche raccontate nell’omonimo film di Corrado D’Errico.
Quasi due secoli separano Clelia dalla prima apparizione della compagnia della teppa (o meglio della ‘téppa’) che riporterà in auge la leggenda di villa Simonetta. Siamo infatti nella Milano austro-ungarica del 1816 quando si è costituita questa cricca che fece parlare di sé l’intera città meneghina. Anche se il nome è associato a “teppista” in realtà indicava in dialetto il tépa cioè il muschio che ricopriva i muri e i prati del Castello Sforzesco, scenario dei primi raduni di questa compagni, composta da giovani della Milano bene. Gli iniziali obiettivi di questo gruppo erano architettare scherzi e tiri goliardici alle autorità austriache: inizialmente tollerati diventarono sempre più violenti, degenerando in veri e proprio atti vandalici, che costrinsero i governatori a iniziare una vera e propria caccia ai membri della compagnia. Ma a dispetto dei tentativi della polizia austriaca milanese, i ragazzi riuscirono a depistare più di una volta gli agenti sulle loro tracce, lasciando indizi e false piste che portarono a un nulla di fatto. Conosciamo alcune delle loro gesta grazie alla cronaca di Giuseppe Rovani (1818-1874) riportata nel suo libro, i ‘Cento Anni’ da cui riportiamo uno stralcio di uno degli episodi più significativi.
“Una mattina la folla si accalcò alle sbarre di quel tratto di naviglio che corre dal Palazzo del Senato a Porta Nuova, per vedervi galleggiar sull’onde, come se fosse un canotto americano, una garitta dipinta in giallo e nero. Quella navicella di nuovo genere non voleva dir nulla per sé; ma il gran ridere che faceva il pubblico accorso dipendeva da ciò, che sapevasi come quei della Compagnia della Teppa, colta l’occasione che la notte era stata piovosa e che la sentinella col suo cappotto erasi messa al coperto, presero la garitta e la gettarono con gran disinvoltura nel naviglio, tutt’insieme, guscio e lumaca”.
Giuseppe Rovani
E proprio alle cronache di Rovani dobbiamo la conoscenza dell’identità di molti componenti della compagnia della teppa e soprattutto del suo leader indiscusso, il barone Gaetano Ciani, meglio noto con l’azzeccato pseudonimo di Baron Bontempo. Tra gli affiliati ricordiamo un assassino di nome Giosuè Bernacchi che finirà in seguito al manicomio della Senavra e Mauro Bichinkommer l’ideatore della maggior parte delle goliardate, figlio di genitori svizzeri ma nato a Milano, in grado di fronteggiare la polizia austriaca col suo fluente tedesco ma, soprattutto, abile falsificatore. Furono proprio le abilità di falsario di quest’ultimo che permisero la messa in scena di alcuni degli scherzi più riusciti, a danno di illustri figure della scena politica e civile milanese. Fu infatti Bichinkommer a falsificare il contratto per un sontuoso pranzo in onore di diciotto prelati che il cardinale Karl Von Gaisruck, a capo della diocesi Milanese e noto per la sua avarizia, fu costretto a saldare.
Ma qual è il collegamento tra la compagnia della teppa e villa Simonetta? È presto detto: il barone Ciani, grazie alle enormi disponibilità economiche di cui godeva in qualità di rampollo di una nobile famiglia, decise infatti di affittare villa Simonetta per allestire uno degli scherzi più di cattivo gusto mai messi in piede dalla sua combriccola.
Lo scherzo, anche se come vedremo di scherzoso avesse ben poco, fu ordito ai danni delle aristocratiche meneghine che si intrattenevano con gli invasori austriaci e prevedeva il coinvolgimento di quel folto sottobosco di personaggi affetti da nanismo e altre deformità che in quegli anni popolava i bassifondi della città. Mentre una parte della compagnia della teppa era impegnata nel reclutamento di disperati nelle strade malfamate, un’altra si diede da fare per invitare nobili fanciulle ad una fantomatica serata danzante presso villa Simonetta, allettandole con la presenza di facoltosi e importanti dignitari. Le ragazze raggiunsero quindi la villa, dove erano attese dal gruppo di nani, cui era stato prospettato l’arrivo di un gruppo di prostitute con cui avrebbero potuto intrattenersi. L’esito dell’incontro è facilmente immaginabile: le ragazze cominciarono ovviamente a difendersi, lanciando qualunque oggetto capitasse loro a tiro. Si arrivò alle mani e i ragazzi della compagnia, rendendosi conto della piega che stessero prendendo gli eventi, si misero a fianco delle ragazze per aiutarle e difenderle. Purtroppo per gli amici della teppa, tra le malcapitate ragazze figurava anche la figlia di un nobile milanese molto legato al viceré austriaco, l’arciduca Ranieri d’Asburgo-Lorena: e fu proprio questo a causare la fine della compagnia della teppa che venne viene immediatamente sciolta. La maggior parte dei suoi affiliati viene arruolata a forza nell’esercito asburgico e mandata il più lontano possibile da Milano. Chi apparteneva a famiglie troppo potenti per essere costretto a servire sotto le armi con il grado di soldato semplice venne invece obbligato all’esilio in Svizzera e in Piemonte.
Villa Simonetta, fine ‘800
Declino e recupero
Dopo il passaggio della compagnia della teppa, villa Simonetta andò incontro a un periodo di degrado, come purtroppo è accaduto per molti capolavori della nostra architettura, sia sacra che laica. L’inizio del declino fu dovuto all’irrispettosa decisione di realizzare la ferrovia proprio alle spalle di villa Simonetta, a pochi metri dalle sue finestre, causando il deturpamento del magnifico giardino. Da quel momento la villa andò incontro ad una serie di diverse destinazioni d’uso: ospedale per malati di colera, fabbrica di candele, magazzino, osteria. Inoltre proprio la vicinanza con lo scalo ferroviario la resero un bersaglio ambito durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale: più volte centrata dalle bombe, alla fine del conflitto villa Simonetta era praticamente un rudere scoperchiato.
Villa Simonetta dopo i bombardamenti
Solo alla fine degli anni cinquanta il comune decise di rilevare villa Simonetta, dando inizio ad una serie di lenti interventi di recupero e riqualifica che la riportarono agli antichi splendori.
Attualmente villa Simonetta è sede è sede della scuola musicale Claudio Abbado.
Come arrivare
Villa Simonetta si trova in via Stilicone 36, facilmente raggiungibile in auto in soli 10 minuti partendo dalla sede di International Residence in via Gustavo Modena 4.
In alternativa è possibile utilizzare i mezzi del trasporto pubblico sia linee di superficie sia sotterranee (metropolitana o passante ferroviario) le cui fermate sono situate a pochi passi dalla sede di International Residence.
Approfondimenti
Per approfondimenti su villa Simonetta rimandiamo alla pagina ufficiale della scuola di musica Claudio Abbado: https://musica.fondazionemilano.eu/
Per approfondimenti su altre storie di Milano, rimandiamo invece alle seguenti risorse: La Senavra: dal 1548 a oggi
Palazzo Marino: dal 1558 storia di una maledizione