San Babila: una piazza e un Santo, ma è molto più di questo. Un simbolo di Milano, la porta di ingresso alle vie del centro, con le sue vetrine scintillanti, i portici di corso Vittorio Emanuele, il duomo imponente con le sue guglie e la Madonnina dorata che si stagliano verso il cielo. Qui, passa quasi inosservata la piccola chiesa di San Babila, oscurata dagli edifici che la circondano, quei monumentali palazzi all’incrocio di corso Venezia e corso Matteotti. Una piazza il cui nome è così conosciuto ma di cui paradossalmente rimane oscura la vita del santo omonimo così come la chiesa a lui dedicata.
- San Babila, storia di un santo
- La chiesa di San Babila
- Il leone di San Marco a San Babila
- Come arrivare
- Approfondimenti
San Babila, storia di un santo
Babila fu vescovo di Antioca e il suo culto risale a un passato antico come si evince da codici risalenti al IX secolo. Babila, dal nome così curioso, fu vescovo della città turca di Antiochia, città ricca in cui spiccava il quartiere di Delfi, luogo ameno, ricco di boschi e di acque, con un prestigioso tempio dedicato ad Apollo. La morte di San Babila rimane ancora ammantata di mistero, al punto da aver dato origine a due diverse cronache interpretative. Secondo Eusebio di Cesarea, Babila sarebbe morto di stenti in prigione al tempo dell’imperatore romano Caio Messio Quinto Valerio Traiano Decio (249-251), responsabile di una tra le prime persecuzioni nei confronti dei cristiani, talmente massiccia da meritarsi l’appellativo di “scientifica” da parte degli storici, proprio per la sua organizzazione capillare e severa. Invece secondo l’interpretazione di Giovanni Crisostomo, la morte di Babila sarebbe avvenuta per decapitazione in seguito all’opposizione del santo allo stesso imperatore. Quello che è certo è che Babila viene spesso ritratto insieme a tre fanciulli che sarebbero stati da lui convertiti e che seguirono il suo triste destino di martirio: Barbado, di 12 anni, Apollonio, di 9 anni, e Urbano di 7 (in altre esegesi ritroviamo nomi differenti: Urbano, Polidano ed Epolono).
San Babila e i tre fanciulli
All’incertezza circa la morte di Babila fa da contraltare la certezza riguardo il destino delle sue spoglie, la cui traslazione costituisce il primo caso di trasferimento di reliquie di cui ci sia giunta sicura testimonianza. La fonte principale riguardo le spoglie di San Babila è san Giovanni Crisostomo, che ne reca testimonianza nei suoi due principali scritti. I resti di San Babila erano in origine sepolti presso il cimitero di Antiochia da dove, a metà del IV secolo vennero trasferite per volere del sub- imperatore Cesare Gallo nella vicina Dafne allo scopo di stroncare il culto pagano ad Apollo e ingraziarsi così il potente clero cristiano locale. Tuttavia dobbiamo tenere bene in mente che stiamo parlando dell’alba del cristianesimo, quando l’umanità era ancora sulla soglia del paganesimo: le conversioni venivano fatte oggetto di persecuzione e i fedeli erano di conseguenza costretti a radunarsi di nascosto per celebrare i propri riti. Non deve quindi stupire che imperatori cristiani si alterarono con imperatori che professavano ancora il culto pagano degli dei, come accadde anche nel caso della morte di Gallo cui succedette il fratello Giuliano, detto l’Apostata. Nome che non gli fu affibbiato certo per caso: Giuliano infatti, intenzionato a ripristinare il culto di Apollo e il suo antico tempio, nel 326 ordinò di trasferire nuovamente i resti di San Babila ad Antiochia, in modo a non rappresentare più motivo di turbamento per Apollo che rifiutava di esprimersi attraverso gli oracoli a causa di tale presenza. Seguendo il racconto di Giovanni Crisostomo e di altre fonti cristiane, il trasporto delle reliquie al cimitero di Antiochia si trasformò in una grande manifestazione di fede e in una processione trionfale in onore del Santo. Successivamente, tra il 379 e il 380, il vescovo Melezio fece costruire di fronte ad Antiochia un martyrion (una chiesa costruita sulla tomba di un martire o sul luogo in cui era avvenuta la sua morte e dedicata al suo culto) dedicato a San Babila, dove furono traslate le sue spoglie, accanto alle quali nel 381 trovò sepoltura lo stesso Melezio. Nel corso dei secoli il culto di San Babila e dei tre fanciulli che con lui andarono incontro al martirio si diffusero in Occidente, giungendo anche a Milano sulla scia del profondo influsso orientale sulla liturgia e sulla vita della chiesa della città. Testimonianze a supporto della presenza del santo di origine siriaca in ambito milanese sono rintracciabili negli antichi messali ambrosiani del IX secolo e nella chiesa stessa di San Babila di cui si hanno testimonianze certe a partire dal secolo XI.
La commemorazione di san Babila e dei tre fanciulli venne proclamata il 24 dicembre 1387 e fissata al 24 gennaio fino alla riforma liturgica attuata dal concilio ecumenico Vaticano II quando, per lasciare spazio il 24 gennaio alla commemorazione di san Francesco di Sales, la memoria di san Babila e dei tre fanciulli è stata anticipata al giorno precedente, 23 gennaio.
La chiesa di San Babila
L’attuale piccola chiesa di San Babila è, purtroppo, una ricostruzione ottocentesca di quello che una volta era un complesso molto più articolato: qui infatti accanto alla basilica di San Babila sorgeva anche la cappella di Santa Marta che si affacciava sul corso di Porta Orientale (l’attuale corso Venezia) con un vasto spazio cimiteriale e la chiesa di San Romano che dava invece sull’attuale corso Monforte e che venne poi completamente demolita. La chiesa di San Babila ha quindi origini antiche, per quanto sia impossibile datarne con certezza la fondazione: sebbene alcune ipotesi abbiano azzardato una sua edificazione su resti di un tempio pagano, i lavori effettuati in occasione del rifacimento tardo ottocentesco hanno portato alla luce solo le murature romaniche senza trovare tracce riconducibili a una sua origine nei primi secoli del Cristianesimo. Mentre ai giorni nostri la chiesetta di San Babila è una delle meno significative dal punto di vista architettonico, in passato era uno tra i più importanti edifici di culto della città, al punto che il suo parroco aveva diritto a un posto d’onore nelle cerimonie ambrosiane (privilegio poi abolito alla fine del 1700).
Le prime notizie certe sulle origini della chiesa di San Babila compaiono alla fine dell’XI secolo, per la precisione in una pergamena del 1099 che fu la prima a nominare la chiesa di San Babila. Si può quindi affermare con certezza che la chiesa fosse già edificata in quella data. A conferma di tale ipotesi, studi condotti negli anni ’50 del secolo scorso, confrontando la chiesa con altre strutture coeve dell’area milanese, hanno stabilito l’ultimo decennio dell’XI secolo quale momento di costruzione dell’intero complesso. Come abbiamo detto, non rimane quasi nulla dell’edificio romanico originale il cui aspetto può solo essere inferito da testimonianze indirette, tra cui un disegno eseguito da un viaggiatore olandese nella seconda metà del Cinquecento in cui è rappresentata una veduta prospettica della chiesa dal lato verso corso Monforte, con il campanile sul lato destro.
Chiesa di San Babila – 1560 circa Chiesa i San Babila, XVI secolo
I più importanti documenti da cui sono state tratte testimonianze approfondite inerenti l’aspetto della chiesa di San Babila sono costituiti dagli Atti della prima visita di Carlo Borromeo alla chiesa nel 1567. Da queste scritture è emerso come la chiesa, prima della sistemazione avvenuta nel 600, fosse dotata di un solo portale d’ingresso, davanti al quale si trovava un cimitero mentre un’altra zona cimiteriale si trovava sul lato sinistro della chiesa, recintata ed estesa fino al vicino oratorio di Santa Marta, sorto proprio per la devozione ai defunti. La chiesa era edificata secondo lo stile romanico, con la facciata in mattoni a vista e l’interno dotato di pilastri di pietra che a sorreggere le volte a crociera delle navate laterali. La sagrestia era situata sul lato sinistro della cappella maggiore mentre in aggiunta all’altare maggiore, posto al centro dell’abside, in quegli anni vi erano altri sette altari.
Purtroppo tante sono le perle andate perdute, di cui è possibile unicamente immaginarne la bellezza attraverso le descrizioni che ci sono giunte attraverso testimonianze scritte e resoconti dell’epoca o di epoche successive. Così sappiamo che nel 1520 venne eretta una cappella attribuita al Bramantino o a Cristoforo Solari con l’altare del Corpus Domini, dotata di cancelli di ferro e quindici finestre tonde per la sua illuminazione: una per ogni parete della cappella, di pianta quadrata, e tre per ogni lato del tiburio soprastante. L’unica parte sopravvissuta dell’antica chiesa è la a porta laterale verso corso Monforte. Da quanto è dato sapere, i materiali utilizzati per la costruzione della chiesa di San Babila erano di scarsa qualità, al punto da determinare una situazione di tale degrado dell’edificio che renderà necessario studiare una nuova e urgente sistemazione alla fine del ‘500. A tale scopo venne quindi creata una Fabbrica il cui Consiglio era composto da deputati scelti dall’arcivescovo per amministrare i beni necessari per il nuovo cantiere che prese avvio nel 1598 e il cui progetto viene affidato ad Aurelio Trezzi, ingegnere collegiato di Milano, già successore del Pellegrini nella Fabbrica del duomo. E proprio l’influsso di Pellegrini e del suo progetto per la fronte del Duomo sarà evidente nella nuova facciata della chiesa di San Babila, in cui prevarrà l’orizzontalità e l’ampio sviluppo del piano inferiore rispetto a quello soprastante. I lavori si concluderanno nel 1617 e confrontando le varie incisioni settecentesche che ritraggono la facciata di san Babila con una foto scattata all’inizio del novecento, prima della sua definitiva demolizione, è possibile notare le varie modifiche apportate nel corso degli anni alle sue proporzioni.
Chiesa San Babila – 1700- Marc’Antonio Dal Re
Come si evince dalle testimonianze sopravvissute, la nuova facciata di San Babila presentava un ricco portale al centro allineato con la finestra superiore mentre ai lati due semplici porte e sopra, leggermente sfalsate, due nicchie. La fronte era disadorna, eccezion fatta per dei rami di palme in bronzo, in parte dorato, e la croce, posta al culmine del timpano. Gli interventi non interessarono unicamente la facciata: infatti l’intero edificio risulterà alla fine completamente rinnovato, con un rifacimento del tetto e dei pavimenti. Anche gli interni saranno interessati dai lavori di restauro con una rintonacatura delle pareti e delle volte e la copertura dei vecchi capitelli romanici con stucchi trasformandoli così in elementi classici. Infine nella navata sinistra viene costruita una nuova cappella, che verrà dedicata proprio a Carlo Borromeo, da poco beatificato. Alla fine di questa prima tornata di interventi la chiesa di San Babila perse completamente qualsiasi rimando alla vecchia costruzione romanica a favore del nuovo gusto controriformato del periodo borromaico.
Chiesa di San Babila- stampa, 1734 Chiesa di San Babila- acquaforte, 1750
Purtroppo anche in questa occasione i materiali utilizzati furono probabilmente scadenti: all’inizio del XIX secolo lo stato di conservazione della chiesa di San Babila iniziò infatti a destare serie preoccupazioni, cui si aggiunse il problema dell’umidità le cui infiltrazioni avevano disgregato il pavimento, le murature e i pilastri. Per cercare di ovviare a questi gravi problemi senza demolire la chiesa, si procedette a una serie di interventi di tamponamento con l’apertura di nuove finestre per consentire una migliore areazione dell’interno. Nel contempo venne realizzato un nuovo altare, alleggerendo l’interno della chiesa dalle varie decorazioni barocche.
Nel 1829 l’interno di San Babila viene nuovamente affrescata dal pittore Giuseppe Bramati con figure di santi, evangelisti e angeli. Sempre per ovviare al problema dell’umidità che continuava a minacciare la chiesa, si decise di togliere il vecchio pavimento e di creare, attraverso uno scavo sotterraneo, un sottofondo riempito di ciottoli di fiume che permettesse il drenaggio e insieme l’areazione.
Chiesa di San Babila – fine ‘800
Purtroppo anche questi interventi furono solo dei palliativi e alla fine dell’800 si dovette nuovamente mettere mano alla chiesa. Ma l’ambiente culturale era decisamente mutato rispetto a quello degli inizi del secolo: all’ondata di modernità si era infatti contrapposto un rinnovato interesse per l’architettura romanica, considerata la grande espressione dell’arte lombarda, interesse testimoniato dalla nascita dei primi uffici per la conservazione dei monumenti. Si guardava quindi con una diversa prospettiva alle vecchie basiliche romaniche, mossi dall’intento di rimediare alle modifiche effettuate nelle epoche successive, per restaurarle e completarle secondo il loro primitivo linguaggio. Fu in questo nuovo contesto che si decisero i nuovi interventi per la chiesa di San Babila, affidando il progetto all’architetto Paolo Cesa Bianchi, affiancato da Carlo Casati, membro della Commissione conservatrice dei monumenti. Nel complesso si operò un recupero dell’antica struttura romanica, facilitato dal ritrovamento della base delle antiche absidi romani, il cui tracciato venne usato come linea guida per la sistemazione delle absidi settecentesche. Per le navate si decise di utilizzare una semplice muratura di mattoni a vista mentre la facciata venne rifatta ex novo: scandita verticalmente in tre parti, corrispondenti alle tre navate interne, presenta in ognuna un portale, sormontato da una finestra.
La nuova chiesa di San Babila
Tutti questi lavori mutarono profondamente l’aspetto della chiesa di San Babila, facendole perdere qualsiasi traccia delle costruzioni passate, in nome di quell’anelito a riproporre quella che, nel tardo Ottocento, si riteneva essere la caratteristica espressione della cultura milanese.
Il leone di San Marco a San Babila
Il leone di San Babila – acquaforte 1820