La festa del Tredesin de marz è una festa altamente simbolica, che unisce elementi della tradizione cristiana con elementi di riti primordiali, dal sapore celtico. Una tradizione il cui significato si ritrova nei miti e nelle leggende di un tempo antico di cui ancora conserviamo tracce e memorie. Il Tredesin de marz, con la sua simbologia, racconta l’origine e la diffusione del cristianesimo in Italia, rappresentando, inoltre, per Milano il primo giorno di primavera. La festa del Tredesin de marz è una festa altamente simbolica, che unisce elementi della tradizione cristiana con elementi di riti primordiali, dal sapore celtico. Una tradizione il cui significato si ritrova nei miti e nelle leggende di un tempo antico di cui ancora conserviamo tracce e memorie. Il Tredesin de marz, con la sua simbologia, racconta l’origine e la diffusione del cristianesimo in Italia, rappresentando, inoltre, per Milano il primo giorno di primavera. La simbologia del Tredesin de marz è quindi è facilmente spiegabile: la celebrazione dei primi sentori di una primavera che comincia ad affacciarsi all’orizzonte, quando le prime gemme iniziano a spuntare, incuranti degli ultimi colpi di coda dell’inverno, con le sue gelate tardive. La festa del Tredesin de marz celebra la tenacia, la speranza, la forza dei piccoli, apparentemente deboli. Una festa dal doppio significato, questa del Tredesin de marz: per alcuni l’avvenuta cristianizzazione dei cittadini milanesi, per altri la rinascita del Sole, la rinnovata Primavera.
- La leggenda del Tredesin de marz
- La leggenda della pietra
- San Barnaba e il primo fonte battesimale
- Ultima curiosità
- La figura di San Barnaba
- La chiesa Santa Maria al Paradiso
- Approfondimenti
La leggenda del Tredesin de marz
La leggenda del Tredesin de marz ruota intorno alla figura di San Barnaba e di una pietra forata, centro nevralgico di quegli antichi riti celtici di cui la Milano protocristiana conservava usanze e memoria. Siamo infatti agli albori del cristianesimo: non deve quindi stupire che a vigilare sugli ingressi della città fossero presenti statue di divinità pagane. Secondo quanto riporta la storia, o almeno una sua prima versione, in una località poco fuori Milano, un gruppo di cittadini era solito radunarsi per celebrare un rito della tradizione celtica, rito che aveva il suo centro in una pietra forata con tredici raggi incisi, rappresentante il cuore Vivo dell’Anima Celtica. Proprio nel corso di uno di questi riti, 13 marzo dell’anno 51 d.C., si presentò San Barnaba, giunto a Milano nel corso dei suoi pellegrinaggi per diffondere il cristianesimo. Come è giusto che sia parlando di un santo, numerose sono le leggende che circondando la figura di Barnaba, legate sempre a doppio filo con il tema della primavera e della rinascita: si narra, infatti, che al suo passaggio la neve si scioglieva per lasciare posto al miracoloso sbocciare dei fiori.
Ma torniamo al momento del rito pagano che ha dato origine alla festa del Tredesin de Marz: Barnaba, giunto alla radura, innalzò la sua croce proprio sulla pietra forata, la stessa pietra che divenne in seguito oggetto di grande venerazione nei secoli, inizialmente custodita in San Dionigi a Porta Venezia, poi spostata a Santa Maria del Paradiso dove venne incastonata nel pavimento centrale. Abbiamo detto che questa è solo una delle versioni della leggenda: un’altra trova infatti larga diffusione, differenziandosi solo per qualche sfumatura. Secondo quest’altra variante, l’anno è sempre lo stesso, il 51 d. C., come lo stesso è il contesto: la Mediolanum protocristiana, in cui Barnaba giunse accompagnato da Paolo da Tarso. E ad accogliere gli evangelizzatori, le stesse statue pagane agli ingressi della città: e fu proprio per evitare di essere costretto a onorare tali divinità pagane che Barnaba decise di fermarsi ai bordi di una radura, al di fuori delle mura, dalle parti di Porta Orientale che allora si trovava in prossimità dell’attuale piazza san Babila. Qui, costruita una rudimentale croce di legno e incastonatala in una pietra, Barnaba cominciò la sua opera di evangelizzazione: ben presto intorno al santo si riunì una moltitudine di persone, pronte ad abbracciare la nuova fede. Una versione, questa, purificata proprio da quegli elementi pagani che si voleva combattere: sparisce infatti il rituale celtico e la pietra intorno a cui veniva svolto. Comunque sia, fu con quella croce che Barnaba decise di entrare in quella città in cui, fino a quel momento, non aveva voluto mettere piede per non essere obbligato a sacrificare alle statue di dei pagani che erano appositamente posizionate agli ingressi della città. Al suo passaggio sotto le mura di Milano le statue pagane si sgretolarono e il Santo poté proseguire il suo cammino, fermandosi poi a Porta Ticinese per celebrare i primi battesimi. Giunto il momento di lasciare la città, Barnaba come pegno di fede, fece dono ai milanesi della sua croce di legno, infissa nella pietra rotonda. E poco importa che la storia abbia poi smentito questo episodio, stabilendo che San Barnaba non giunse mai a Milano: infatti la tradizione popolare ha continuato fino al 1396 a festeggiare il Tredesin de marz, il 13 marzo con grande solennità, astenendosi anche dal lavoro. Festa che verrà poi riconfermata nel 1583 da San Carlo Borromeo, come ” dies festibus “.
Festa questa del Tredesin de marz che è diventata anche la festa dei fiori nella tradizione di Milano che si celebrava con un’esposizioni di piante e di fiori attorno alla chiesa di Santa Maria al Paradiso, lungo i viali aperti dopo la demolizione dei bastioni tra Porta Vigentina e Porta Ludovica. Un’ultima curiosità, legata al Tredesin de marz e agli antichi saperi dei nostri nonni: al “Tredesin de marz” si tagliavano i capelli ai bambini, perché poi ricrescessero folti e robusti.
Nelle parole di Emilio de Marchi, tra le più importanti voci della letteratura milanese, una descrizione della festa del Tredesin de marz:
“E quî giornad del tredesin de Marz? Gh’era la fera, longa longhera, giò fina al dazi, coi banchitt de vioeur, de girani, coi primm roeus…..”
La leggenda della pietra
L’origine della pietra si perde anch’essa negli albori della nostra storia, in un intreccio tra riti, miti e leggende. Di indubbia origine antica, si trattava presumibilmente di un’antica pietra tombale il cui foro centrale, in Oriente, viene chiamato “porta della liberazione”, a causa della credenza che proprio da quel foro si liberi l’anima dei defunti. Più incerto il significato attribuibile ai tredici raggi: sicuramente non un riferimento al 13 marzo in quanto giorno dell’arrivo di Barnaba a Milano, potrebbero essere invece un riferimento alle tredici costellazioni, poiché i Celti erano soliti celebrare la ciclicità della Vita con le festività legate al movimento degli Astri e del Sole stesso, oppure che rappresentino la ruota della Vita. Le 13 costellazioni sono campo della sola astrologia: infatti secondo gli astrologi la tredicesima costellazione sarebbe il Serpentario o Ofiuco, che il Sole attraversa fra il 30 novembre e il 17 dicembre. Bisogna comunque precisare che siamo nel puro campo delle ipotesi.
Le 13 costellazioni
Indipendentemente dal reale significato della pietra del Tredesin de marz, quello che sappiamo con certezza è la lunga via che l’ha portata a trovare definitiva dimora presso Santa Maria del Paradiso nella zona di Porta Vigentina. Inizialmente sul luogo del suo ritrovamento venne edificata nel IV secolo, per volere di Sant’Ambrogio, la basilica di San Dionigi: una piccola cappella di un monastero, situata al centro di un cimitero paleocristiano, prima custode della pietra di San Barnaba. Studi successivi avrebbero identificato la sua collocazione esatta dove oggi sorge il Planetario Ulrico Hoepli. Nel corso dei secoli, la piccola cappella andò in rovina finché, intorno al IX secolo, venne eretta una chiesa di dimensioni maggiori, demolita nel 1560. La pietra venne quindi trasferita in una nuova chiesa, costruita nel 1550 da Pellegrino Tibaldi, all’altezza del lato nord dell’attuale Museo di Storia Naturale e demolita poi nel 1783 per permettere la realizzazione dei Giardini Pubblici di Porta Orientale. Da qui la pietra sacra del Tredesin de marz venne definitivamente spostata nella chiesa di Santa Maria del Paradiso.
La pietra sacra in Santa Maria al Paradiso
San Barnaba e il primo fonte battesimale
La figura di San Barnaba è legata non solo al Tredesin de marz ma anche a un’altra leggenda, relativa a quello che sarebbe il primo fonte battesimale di Milano. Infatti, tra le reliquie che la tradizione lega all’evangelizzazione operata dal santo nella Mediolanum di allora, vi è appunto il primo fonte battesimale della città, situato fuori dalle mura romane nei pressi di Sant’Eustorgio, in quei luoghi in cui san Barnaba avrebbe battezzato i convertiti. Il santo avrebbe scelto quel luogo non a caso: proprio lì, infatti, sarebbe stata presente una sorgente prodigiosa denominata successivamente “fonte di San Eustorgio” come è attestato da svariati documenti a partire dalla fine del XIII secolo. Tuttavia dopo l’età medievale la fonte andò incontro a un lungo periodo di abbandono e degrado finendo per essere utilizzato come lavatoio: fu Federico Borromeo che decise di restaurarlo, facendovi costruire sopra la chiesa di San Barnaba, progettata dal Richini, consacrata nel 1623 e demolita nel 1844. Oggi il fonte è conservato sotto il cortile di una casa in Piazza Sant’Eustorgio 8, in prossimità della basilica, e si presenta come un semplice bacino in granito di circa 2 m di lato. A ricordo di questo primo fonte, una lapide in piazza Sant’Eustorgio attesta la presenza del primo fonte battesimale di Milano, costruito nei tempi apostolici, restaurato e benedetto dal Cardinal Federico Borromeo il 28 ottobre 1623.
Ultima curiosità
Poiché l’ingresso di Barnaba in città sarebbe avvenuto passando da Porta Ticinese, e uno dei suoi compagni di viaggio, Anatalone, sarebbe stato eletto primo vescovo della diocesi di Mediolanum, secondo un’antichissima tradizione ancora oggi il nuovo vescovo di Milano, nel momento in cui entra in città per prendere possesso della sua diocesi, lo fa da entrando proprio da Porta Ticinese. E la sosta in Sant’Eustorgio, è ovviamente di rito.
La figura di San Barnaba
La Bibbia menziona Barnaba come uno tra i primi a radunarsi intorno a Gesù e agli apostoli, diventando uno dei più autorevoli rappresentanti della prima comunità cristiana al punto da meritarsi il titolo di apostolo, pur non facendo parte del nucleo originario dei Dodici.
San Barnaba e il Tredesin de marz
San Barnaba, in origine Giuseppe di Cipro, secondo gli Atti degli Apostoli si convertì al cristianesimo, vendendo tutti suoi averi e donandone il ricavato agli Apostoli stessi, che lo ribattezzeranno con il nome di Barnaba, che significa “figlio della consolazione”. Per la precisione la sua conversione avvenne poco dopo l’episodio della Pentecoste e lo portò ad abbracciare la fede cristiana, vendendo, appunto, tutti gli averi che si era faticosamente guadagnato nel corso della propria vita per donarne il ricavato alla nascente Chiesa. Barnaba si legò strettamente alla figura di Paolo: fu infatti il primo ad accogliere Paolo quando, convertitosi sulla via di Damasco, giunse a Gerusalemme per conoscere gli apostoli. Da quel momento i due iniziarono insieme un’importante opera di evangelizzazione, spingendosi in terre lontane dove, con la loro predicazione, riescono a convertire un gran numero di pagani. Documenti bizantini riportano informazioni sul santo che, come abbiamo visto, fu particolarmente attivo a Milano dove la sua predicazione portò alla formazione della prima comunità cristiana della città: proprio per questo viene considerato il primo vescovo (non ufficiale) di Milano. Barnaba sarebbe morto a Salamina, dove sarebbe stato lapidato da giudei siriani nell’anno 61 e proprio a Salamina si troverebbe la sua tomba, indicata da lui stesso al vescovo della città, cui sarebbe apparso in sogno. Le spoglie di San Barnaba vennero quindi traslate nella basilica che venne eretta in suo onore, sempre a Salamina.
San Barnaba è protettore delle coltivazioni, particolarmente dei vigneti: non a caso si festeggia l’undici giugno, periodo importante per l’agricoltura, caratterizzato dalla fioritura e dall’allegagione (ossia la fase iniziale dello sviluppo dei frutti successiva alla fioritura) di numerose piante, tra cui la vite, e la raccolta di frutti come le albicocche. E come afferma un detto veneto:
“Per San Barnabà l’uva viene e il fiore va”
La chiesa Santa Maria al Paradiso
I lavori per la costruzione di Santa Maria al Paradiso iniziarono nel 1590, per volere dell’arcivescovo di Milano Gaspare Visconti che ne affidò l’incarico all’architetto Martino Bassi. L’impianto richiama lo stile barocco con pianta a una navata unica, quattro cappelle per lato, abside semicircolare e volta a botte.
La facciata odierna è il risultato di un rifacimento eseguito sul finire dell’800 dall’architetto Ernesto Pirovano (già conosciuto per la splendida Villa Crespi) ed è suddivisa in due ordini sovrapposti: nella parte inferiore si trova il portale principale sormontato da un mosaico raffigurante Gesù, Maria e Giuseppe, mentre ai lati, sui due portali più bassi, sono posti i bassorilievi delle Nozze della Vergine e della Natività di Gesù eseguiti dallo stesso Ernesto Pirovano. L’aspetto della chiesa ha subito modifiche nel corso dei secoli, in seguito a importanti lavori di restauro e ristrutturazione ma nonostante ciò conserva ancora oggi il suo fascino, dato non solo dalla pietra di San Barnaba, qui custodita, ma anche dalle numerose opere d’arte conservate al suo interno, tra cui l’Adorazione dei pastori di Camillo Procaccini. Nelle cappelle laterali sono infatti presenti diverse opere d’arte, molte delle quali collocate nella chiesa fin dalle origini. Inoltre anche il coro e la volta del presbiterio sono arricchiti da splendidi affreschi, tra cui spicca il meraviglioso affresco barocco realizzato da Andrea Porta. Il coro stesso, è una pregevole opera d’arte: eseguito a cavallo del Cinquecento e del Seicento in noce intagliato.
Ma il motivo per cui Santa Maria al Paradiso è meta di visitatori è la pietra di San Barnaba, legata al rito del Tredesin de marz, incastonata nel pavimento della sua navata, dove è custodita da secoli, in attesa di essere ammirata.
Santa Maria al Paradiso – interno