Il gin italiano

Nel comasco due giovani imprenditori hanno riportato in Italia la produzione del gin. Anticipando la domanda che sorge spontanea: “come? E da quando il gin sarebbe italiano??”. Senza offendere gli amici olandesi, cui da tradizione storica viene sa sempre attribuita la scoperta del gin, bisogna tuttavia prestare ascolto alle recenti scoperte in merito. Inoltre, visto che questa calda estate è stata contrassegnata da primati italiani in varie discipline (europei, Olimpiadi, Paralimpiadi) ci piace pensare che anche in questo campo l’ingegno italiano abbia avuto un ruolo da protagonista. Quindi, prima di addentrarci nel merito del 359 gin, una rapida lettura sulle nuove teorie riguardanti l’origine del gin. In primo luogo la coltivazione del ginepro, le cui bacche costituiscono l’ingrediente principale del gin, era praticata in Italia già dal 1544. In secondo luogo, l’elemento più importante a sostegno di questa ipotesi: Scuola di Salerno, la più importante istituzione medica in Europa durante il medioevo, che diede impulso allo sviluppo di numerosi distillati. I monaci della scuola di Salerno furono infatti i primi a creare un orto botanico da cui trarre gli ingredienti per i loro prodotti. A tal proposito in diversi testi antichi è possibile rintracciare riferimenti a numerosi distillati e liquori di ginepro a scopo medicinale con una quantità di ginepro era quadrupla rispetto ad ogni altro ingrediente. Infine l’inizio della produzione nel 1600, dei rosoli liquori ottenuti per distillazione e che possono essere di fatto considerati i veri antenati dei gin moderni. Infatti la principale differenza tra i rosoli e il gin classico è unicamente una dolcificazione più marcata a fronte di un metodo produttivo assolutamente identico. E poi in fondo in Lombardia non sono poche le abazie dove ancora oggi vengono prodotti liquori di prima qualità, come il monastero di Cascinazza (qui un approfondimento su Cascinazza)


Il 359 gin

Dopo questa breve parentesi introduttiva, possiamo parlare del 359 gin, prodotto da Paolo Cavalleri e Pierpaolo Garofoli che ci permetterà anche di conoscere una parte del meraviglioso territorio di cui è espressione. La storia del 359 gin è profondamente radicata nel territorio e denota un amore e un rispetto profondi per le valli da cui ha origine. Le materie prime utilizzate per la creazione dei distillati provengono infatti dai boschi del circondario, così come il nome e il logo utilizzati sono un tributo al paesaggio circostante. Ma non solo: riecheggia nel nome scelto per questo progetto una nota romantica, una storia di amore che ha avuto come palcoscenico proprio questi luoghi e che avuto nel gin un importante coprotagonista. Per dare maggior risalto all’attore principale di questa storia, forniamo il giusto contesto ambientale che ci aiuterà ad assaporare appieno il gin nostrano. Il nostro viaggio alla scoperta del 359 gin ci porta a Cravenna, 359 metri sopra Como, nella valle del Bova. Siamo per la precisione nella Valle del Bova, al cospetto delle Pre-Alpi, in un paesaggio di notevole bellezza sebbene sia forse poco conosciuto, caratterizzato da una natura selvaggia che nasconde tesori di inestimabile valore sia dal punto di vista geologico che paleontologico. Non a caso nel 2007 la Regione Lombardia ha deciso di trasformare questi luoghi in una “Riserva Naturale parziale geologica, idrogeologica e paesistica”. Come sempre, ne sfioreremo solo alcuni, in una trattazione che vuole essere solo un assaggio di questo territorio.


La valle del Bova

La valle del Bova è ricca di acqua e di gole: il torrente Bova divide la valle, formando dei crepacci ricoperti di folta vegetazione e spesso collegati tra loro da ponticelli di legno creati appositamente per consentire le escursioni. Addentrandosi lungo i suoi sentieri è possibile giungere all’Orrido di Caino e al famoso Buco del Piombo. Inoltre, lungo queste passeggiate ricordiamoci di fermarci per osservare il cielo: non è infatti difficile osservare il falco pellegrino che nidifica in queste falesie.


Orrido di Caino

E’ una gola situata nella parte più interna della valle del Bova, facilmente raggiungibile: l’escursione può infatti essere affrontata anche dai bambini. E’ in questa gola che trovano ospitalità la cascata del Buco del Piombo e il Buco del Piombo stesso. Il sentiero che conduce a questa gola parte sopra Erba: alla partenza del sentiero è presente un parcheggio dove poter lasciare i veicoli. La pista segue il corso del torrente Bova e risale la valle. In prossimità della fine del sentiero è presente una lunga passerella di ferro che consente l’accesso all’Orrido.


Cascata del Buco del Piombo

Risalendo il torrente Bova si può raggiungere facilmente l’omonima cascata, formata dal torrente che si fa largo dalla sommità della valle. Una volta giunti in prossimità della cascata, risalendo i circa 200 gradini di una scala è possibile risalire si può risalire sulla cengia soprastante, dove si apre il Buco del Piombo.


Buco del Piombo

Si tratta di una grotta facente parte di un complesso carsico di età Mesozoica formatosi nella pietra calcarea: è proprio la patina di colore grigio delle sue pareti, dovuta all’alterazione del calcare, a dare origine al nome di questa grotta. Il Buco del Piombo possiede caratteristiche che lo rendono unico da molti punti di vista e che hanno spinto la Regione Lombardia a dichiararlo nel 2007 “Sito di Interesse Archeologico e Ambientale”. In primo luogo il Buco del Piombo è una tra le poche grotte carsiche presenti nella nostra regione ma soprattutto rappresenta uno dei siti paleolitici più importanti del nostro territorio. Le dimensioni di questa grotta sono impressionanti: basti solo dire che l’ingresso è paragonabile al Duomo di Milano! Per essere ancora più precisi, le dimensioni dell’ingresso sono: 45 metri di altezza, 38 metri di larghezza, 40 metri di profondità. Insomma, non rischiamo di cadere nell’esagerazione utilizzando l’aggettivo mastodontico per descrivere questo varco. E non a caso utilizziamo la parola varco: perché si tratta di un vero e proprio ingresso in un altro mondo. Infatti una volta penetrati nella grotta ci si trova in presenza di mura di d’interesse archeologico, risalenti al 500, epoca in cui il Buco veniva utilizzato come rifugio durante invasioni e guerre. Ma l’utilizzo di questi anfratti come rifugi risale ad un periodo ancor più antecedente: nel 2002 un esame effettuato su reperti rinvenuti durante una campagna di scavi, ha permesso di datare al VII secolo le costruzioni inserite nella caverna.

Come abbiamo detto il buco del Piombo è un sito paleontologico di inestimabile valore, composto da innumerevoli cunicoli che si estendono per più di 400 metri e molti dei quali ancora inesplorati. E già solo questo avvolge la grotta in un alone di mistero. Per gli amanti della letteratura giapponese, come non associare questo mondo sotterraneo con i mondi descritti da Murakami nei suoi libri? Inoltre al suo interno scorre il torrente Bova, che vi penetra come cascata (quella che abbiamo ammirato prima di inerpicarci sulla cengia di ingresso), rendendo in questo modo ancor più suggestiva l’atmosfera della grotta. Proprio l’azione di acque così ricche di sali minerali calcarei ha dato origine alla formazione di stalattiti, stalagmiti e complesse concrezioni levigate. A ciò si aggiunge la presenza della microfauna tipica di questi ambienti come piccoli Crostacei, Miriapodi e Coleotteri Carabidi.

Dal punto di vista della paleontologia, il Buco del Piombo deve la sua fama ai ritrovamenti di resti fossili appartenenti all’Ursus Spelaeus, un mammifero plantigrado estintosi attorno a 18.000- 20.000 anni fa durante l’ultima avanzata glaciale. Inoltre sono stati rinvenuti numerosi manufatti utilizzati dai cacciatori nomadi durante il Paleolitico Medio e Superiore che testimoniano la presenza umana in questo sito.
Purtroppo ad oggi non è possibile visitare la grotta per motivi di sicurezza: ma anche solo osservarla dall’esterno con le sue dimensioni è un’esperienza unica. La nostra immaginazione non può non essere colpita da questo luogo, immerso nel silenzio e che visto l’origine della vita sul nostro pianeta.


Eremo di San Salvatore

Si tratta del primo insediamento dei frati cappuccini in Lombardia fondato nel 1536. L’origine dell’attribuzione dell’eremo a San Salvatore è incerta: potrebbe infatti essere un omaggio all’eremita che viveva nella piccola chiesa preesistente alla costruzione del convento oppure alla riconsacrazione del 1562 con la dedicazione all’Ascensione del Salvatore. Come per molte altre chiese e luoghi sacri dell’Italia, anche l’Eremo di San Salvatore dovette patire l’arrivo di Napoleone. L’imperatore francese infatti inaugurò una politica di soppressione dei vari ordini religiosi sparsi sul territorio italiani, in cui rimase coinvolto anche l’eremo sopra Cravenna, così come molte altre abbazie e chiese storiche. ( qui l’esempio di Chiaravalle). Per questo motivo nel 1810 i frati furono costretti a lasciare il convento che da quel momento andò incontro a un periodo di abbandono. Seguì poi una serie di passaggi di proprietà e destinazione: venne addirittura trasformato in una colonia estiva per le famiglie dei dipendenti della Società Osram Edison Clerici. Infine nel 1952 fu venduta alla società Oltrabella che iniziò i lavori di restauro per riportarlo alla sua antica funzione, facendone così un centro di formazione religiosa per i giovani. Dal 1999 l’eremo è gestito dall’Istituto Secolare Cristo Re ed è aperto a visite e all’ospitalità di chiunque desideri vivere “momenti di silenzio e di preghiera”.


359 gin e la storia di Caino e Elena

Il 359 gin nasce dalla passione di due imprenditori, Paolo Cavalleri e Pierpaolo Garofoli, per il buon bere ma soprattutto per il loro territorio “359 Gin è l’incontro tra le nostre botaniche locali e la distillazione mediante alambicco discontinuo. Il mix perfetto tra tradizione e innovazione.” “La nostra missione è quella di poter tramandare, attraverso i nostri distillati la storia di Erba, il luogo dove gli infusi e la botanica sono coltivati e studiati da sempre.”

Un’attenzione e un amore per il territorio che si sposa con la curiosità per le storie di questi luoghi: curiosità che ha portato alla creazione del 358 gin. Ogni bottiglia rappresenta infatti questo amore e questa dedizione per la tradizione nell’intento di far conoscere e tramandare ricette e cronache di queste valli. Quello che hanno fatto questi due giovani imprenditori è ammirevole da diversi punti di vista. In questo anno e mezzo di pandemia abbiamo abusato del termine resilienza, usandolo troppo spesso e spesso a proposito: ma qui siamo di fronte a un reale esempio di resilienza. Il lancio di questa impresa è infatti avvenuto in pieno periodo di pandemia: quello che questi due giovani hanno dimostrato è il potere dei sogni, di progettare a lungo termine, di proiettarsi nel futuro, di aprire il proprio orizzonte nonostante l’incertezza dei tempi attuali. Ogni bottiglia ci trasmette non solo il sapore di queste terre ma anche la passione di chi l’ha creata: ogni sorso ci regala sentori genuini e la scoperta di storie e di luoghi che forse non avremmo avuto modo o curiosità di scoprire. Nelle parole dei fondatori di questo progetto: “La nostra missione è quella di poter tramandare, attraverso i nostri distillati la storia di Erba, il luogo dove gli infusi e la botanica sono coltivati e studiati da sempre”.

Gin lombardo: il logo del 359 gin

La produzione del 359 gin si differenzia in 359 botanico e 359 fruttato. Questi due prodotti vogliono testimoniare due momenti della vita del brigante Caino e della spinta produttiva che può dare l’amore. Nato nel 1598 Caino era uno dei banditi più temuti della zona e la valle Bova era il suo rifugio. La leggenda narra che fu proprio lui a creare il primo abbozzo di quello che diventerà poi il gin come lo conosciamo: le bacche delle piante di ginepro che costellavano i pascoli della zona furono infatti la sua salvezza. Nel suo rifugio nella valle Caino distillava il suo liquore, che lo aiutava ad affrontare i lunghi e rigidi inverni della montagna. Ma non di solo distillato l’uomo può vivere: quindi il nostro brigante si trovava a scendere spesso a valle per le sue necessità. E fu presso il lavatoio di Cravenna che vide Elena e, come in ogni storia di passione che si rispetti, se ne innamorò a prima vista. Per trovare un modo per avvicinarla, decise di modificare la ricetta originaria del suo distillato. Avendo visto che Elena custodiva nel suo cesto numerosi frutti di bosco, ebbe l’idea di aggiungerli al suo liquore, creando in questo modo un liquore speciale, solo per la sua amata. La storia si ferma qua: non sappiamo cosa accadde a Caino, se riuscì a dichiararsi e a coronare il suo sogno d’amore con Elena. Ognuno può immaginare il finale che preferisce. Ma quello che è rimasto è il 359 fruttato, che riporta in etichetta il volto di Elena e che unisce, primo nella storia, le bacchi di ginepro con i frutti di bosco. Il volto di Caino è invece immortalato sull’etichetta del 359 botanico.

Gin lombardo: il 359 gin

In ogni bottiglia del 359 gin sono presenti ingredienti provenienti dalle valli circostanti: per questo non abbiamo timore di usare a sproposito l’etichetta chilometro zero per questo prodotto. Ma c’è molto di più di questo: c’è l’amore per il territorio, per le proprie radici, il rispetto per l’ambiente che ci circonda, la passione per il saper bere con moderazione.

Sito ufficiale del 359 gin