Glicine e Corpi Santi: un viaggio che ci porta in angoli poco conosciuti della città, lontani dalle vetrine scintillanti del centro e dai moderni grattacieli, angoli che conservano tracce di un fascino antico, fatto di racconti di altre tempi. Una storia di un’epoca lontana ma non troppo, quando alle porte di Milano si spalancava un paradiso fiscale, un porto franco precursore dei moderni paradisi off-shore. Un’altra dimostrazione di come, alla fine, non ci sia nulla di nuovo sotto il sole, nemmeno in tema di fiscalità e di tassazioni.
- Il glicine di Leonardo
- Il borgo di Morivione e il pan de mej
- I Corpi Santi
- Il pan de mej
- Come arrivare
- Approfondimenti
Il glicine di Leonardo
Il nostro viaggio prende le mosse dal quartiere di Morivione, per una visita a una tra le piante di glicine più antiche d’Italia, conosciuto da sempre come il glicine di Leonardo. Una pianta che per la sua importanza e la sua antichità dovrebbe essere conservata in ben altro modo, magari con la stessa premura con cui vengono curati i ciliegi e gli alberi di canfora in Giappone. Invece questo glicine cresce costretto in un piccolo cortile, nonostante le sue radici siano talmente sviluppate da coprire un’estensione di quasi due chilometri. Un glicine che ha attraversato 700 anni di storia, assistendo e accompagnando le trasformazioni del quartiere in cui si è trovata a crescere. Il glicine di Leonardo deve il suo nome all’abitudine che il genio vinciano avrebbe avuto, di recarsi qui durante la sua permanenza a Milano, destreggiandosi tra i suoi mille impegni: la realizzazione del Cenacolo, gli studi sulle chiuse dei Navigli e le gioie della sua vigna. Come avremo modo di vedere in questo assaggio di storia, in questo angolo di città il vecchio adagio “qui era tutta campagna” descrive alla perfezione quello che era il panorama allora esistente. Durante gli anni leonardeschi, infatti, questo tratto di strada ora ingolfato di traffico nel quartiere oggi chiamato Scalo Romano, era ricco di vegetazione, anche se si fa fatica a crederlo. Il glicine di Leonardo, per la precisione, si trova in via Bernardino Verro n°2, all’angolo con via dei Fontanili, all’interno di un cortiletto aperto da dove tutti lo possono ammirare.
E se facciamo ancora fatica a credere che questo fosse un luogo lussureggiante, la toponomastica giunge in nostro soccorso: via dei Fontanili, infatti, deve il suo nome proprio alla presenza di molti fontanili che caratterizzavano il paesaggio di questo angolo cittadino, un tempo un piccolissimo borgo raccolto intorno ad una cascina situata tra il cavo Ticinello e la roggia Vettabbia: in realtà ancora oggi proprio l’antico canale della Vettabbia scorre in questa zona, regalandoci scorci di inaspettata bellezza.
Il borgo di Morivione e il pan de mej
Morivione, un tempo era parte dei cosiddetti Corpi Santi: piccolo borgo fuori dalle mura, non troppo lontano dalla città, luogo di cascine, ricco di acqua e di terreni fertili. Un nome, quello di Morivione, che affonda le sue origini nelle vecchie storie milanesi, condite da elementi leggendari. Oltre ad ospitare il glicine di Leonardo, questa parte di città racchiude i semi di molte tradizioni del folklore milanese, che purtroppo stanno andando perdendosi nel trascorrere inesorabile del tempo. Prendiamo le mosse da un angolo non lontano dalla via in cui è ospitato il glicine di Leonardo: il numero 5 di via Corrado il Salico, all’incrocio con via Verro. Proprio qui, infatti, sarebbe avvenuto il fatto che diede origine al nome del borgo. Piccolo inciso: di questa storia non solo esistono due versioni, come è da prassi nelle storie del folklore italiano, ma è anche una storia che si sdoppia, dando origine a un’altra usanza dei tempi antichi. La prima versione di questa storia vede come protagonista tale Vione Squilletti, capo di quelli che ai tempi venivano definiti briganti: in questo caso si trattava di soldati di ventura della Compagnia di San Giorgio sbandati dopo la battaglia di Parabiago (21 febbraio 1339) che nella campagna del futuro borgo di Morivione avevano trovato rifugio e terra fertile per le loro razzie. Gli attacchi e le ruberie erano a tal punto frequenti e quotidiane da spingere gli abitanti della zona a rivolgersi al loro signore, Luchino Visconti, chiedendogli di liberarli dai briganti di Squilletti. La battaglia si svolse durante la festa di San Giorgio: Vione, catturato, venne ucciso il 24 aprile 1339, si dice trafitto da una lancia, in prossimità di un grosso albero fiorito, magari proprio lo stesso glicine che vedrà Leonardo.
Il giorno seguente la popolazione si recò sul luogo della battaglia e offrì ai vincitori latte fresco, panna e uova e da quel giorno San Giorgio, oltre che protettore dei Cavalieri, divenne anche santo patrono dei lattai. Nel frattempo una mano ignota avrebbe dipinto, su un muro in prossimità della battaglia San Giorgio che uccide il drago, con una scritta: “Qui Morì Vione”, da dove poi la storpiatura dialettale la trasformò in Morivione. Ed eccoci giunti al secondo elemento della tradizione: dal momento dell’uccisione del brigante infatti, ogni anno i milanesi erano soliti recarsi, il 23 aprile, in questo borgo a festeggiare San Giorgio con la “panera”: bevendo latte fresco appena munto, arricchito con la “panera” (la panna) servito in tazze di maiolica e mangiando il “pan de mej dolz”, ossia il pane di farina di miglio e fior di sambuco.
Nella seconda versione della storia, ricompare un glicine, in una commistione di elementi di più storie: le variazioni sono proprio minime, giusto il nome del brigante, che diventa Alessandro Vione. Ma per il resto tutto rimane pressoché invariato: sempre un ex soldato ma al servizio degli Sforza, trasformatosi in ladro e qui scovato e pugnalato a morte ai piedi di un glicine dalle guardie dell’antico padrone. E allo stesso modo, rimane la targa in ricordo della morte di Vione e la tradizione del pan de mej nel giorno di San Giorgio.
Antichi mestieri: lattai Pan de mej
I Corpi Santi
Milano è una città dalle mille leggende Milano, nonostante la sua modernità possa fuorviare, portando superficialmente a pensare che si tratti di una città senza passato, solo grattacieli, lavoro e velocità. Ma siamo pur sempre in Italia, dove il passato non è mai così nascosto e torna in forme diverse, dalle narrazioni alle ritualità che vengono riprese e riproposte, anche quando se ne siano smarrite le origini. I corpi santi di cui si parla qui non erano reliquie sacre, ma parte dell’area suburbana della città, a quel tempo cinta da mura. Le mura di Milano, di cui ora rimangono solo alcune vestigia, più o meno imponenti e ben tenute, delimitavano, insieme alla cerchia dei navigli, il territorio cittadino: la maggior parte della popolazione, all’indomani delle battaglie risorgimentali, risiedeva nella parte più antica della città, quella compresa nella cerchia dei navigli. Dai navigli alle mura si estendeva quella che oggi verrebbe considerata zona di periferia, scarsamente abitata e urbanizzata, con prevalenza di zone verde e orti coltivati. Invece, al di là delle mura, si andarono progressivamente addensando cascine e abitazioni, creando una fascia densamente popolata al punto da dare vita ad un unico comune, detto dei Corpi Santi. Nome quanto mai curioso, la cui reale origine è ormai andata perduta, per cui rimangono solo delle ipotesi a cercare di spiegarlo: la versione più accredita rimanda ai tempi dei primi cristiani e alla pratica di inumare i corpi dei Martiri (appunto Santi) al di fuori delle mura cittadine mentre una versione secondaria chiama in causa antiche processioni religiose che si svolgevano intorno alla città. Indipendentemente da quale versione si ritenga vera, quello che è certo era la particolare conformazione di questi Corpi Santi: un grande anello che circondava le mura, estendendosi in alcuni punti per svariati chilometri, riducendosi invece in altri a una ristretta fascia di territorio.
Ma le mura, oltre a dividere i Corpi Santi dal territorio cittadino, assolvevano anche a un’altra funzione: quella di confine daziario. Il dazio era una antica tassa che colpiva, secondo percentuali diverse, le merci che entravano a Milano attraverso le porte delle mura, ognuna delle quali dotata di pesa pubblica dove i funzionari dello Stato stabilivano il dazio da applicare sui prodotti, riscuotendo il corrispettivo stabilito. In totale le porte erano 16, calcolando anche i caselli raggiungibili dalle merci solo per via acquea, come il Tombone di san Marco. E proprio qui nasceva l’inghippo che permise al comune dei Corpi Santi di diventare un precursore dei moderni paradisi fiscali: essendo comune a parte, al di fuori della cinta muraria, era esente da dazi e di conseguenza le merci costavano decisamente meno. Una sorta di duty-free, per intenderci, un territorio franco, un’antecedente della Svizzera i cui residenti fruivano dei vantaggi economici derivanti dalla vicinanza alla città, nella quale quotidianamente entravano per lavorare e esercitare varie professioni, senza tuttavia partecipare agli oneri che la città imponeva ai propri cittadini. Visto lo stato delle cose, era abbastanza chiaro che l’amministrazione di Milano non vedesse di buon occhio questi precursori degli attuali frontalieri: di conseguenza nel 1860, venne avanzata una richiesta per un aumento del territorio giurisdizionale, annettendo a Milano la fascia abitativa più vicina, ossia quella compresa nella distanza di un chilometro dalle mura. Nel frattempo diverse aziende, tra cui le Officine Meccaniche, le cartiere di Ambrogio Binda, la Società per la fabbricazione delle porcellane lombarde, iniziarono a spostare la loro sede proprio nel comune dei Corpi Santi, per poter usufruire delle agevolazioni fiscali (lo abbiamo detto che si trattava di un antenato dei nostri paradisi fiscali). Inoltre nei Corpi Santi avevano sede anche molte aziende cittadine, come la vecchia Stazione Centrale in piazza della Repubblica, la Stazione della Società Anonima degli Omnibus fuori Porta Orientale, il Cimitero Monumentale, il gasometro, che regolava la fornitura di gas ai milanesi, fuori porta Ludovica. Il motivo era semplice: le imprese avanti sede a Milano dovevano pagare alla città il dazio relativo alle materie prime acquistate mentre quelle con sede nei Corpi Santi non incorrevano nella tassa sulle medesime materie prime, con ovvi conseguenti vantaggi economici. Fu così che, dopo un lungo e acceso dibattito protrattosi per anni, l’8 giugno 1873 il Comune dei Corpi Santi venne aggregato a Milano che si ritrovò all’improvviso a essere una grande città, con un aumento della popolazione di circa il 30%.
Caselli daziari di Porta Venezia Caselli daziari di Porta Nuova
Il pan de mej
Infine lasciamoci infine con una nota dolce, la ricetta el pan de mei, quel dolce cui abbiamo accennato parlando del glicine di Leonardo. San Giorgio, miglio e sambuco: i tre elementi che si intrecciano in questa ricetta della tradizione lombarda per dare origine a un dolce morbio e burroso, che si scoglie in bocca in un’esplosione di sapore. Gustando questo dolcetto, magari chiudendo gli occhi possiamo immaginare di essere sotto le fronde di un glicine fiorito o ancora meglio, mangiare uno di questi dolcetti proprio sotto un glicine, tra i molti che regalano alla nostra città le loro meravigliose fioriture.
• Farina di mais fioretto 300 g
• Burro 150 g
• Farina 00 200 g
• Zucchero 150 g
• Lievito in polvere per dolci 16 g
• Baccello di vaniglia
• Uova medie 3
• Sale fino 1 pizzico
• Scorza di 1 limone grattugiata
• Sambuco fiori
Procedimento:
- Sciogliere il burro a fuoco basso in un pentolino
- Nell’impastatrice o in una ciotola, mescolare le due farine setacciate, lo zucchero, i fiori di sambuco essiccati, il lievito per dolci ed una grattata di scorza di limone.
- Aggiungere burro fuso, uova, sale
- Impastare fino ad ottenere un composto omogeneo
- Formare delle palline e schiacciarle sulla teglia, cospargerle di zucchero
- Cuocere a 180° per venti minuti circa