Palazzo Diotti, meglio conosciuto come il palazzo della Prefettura, è uno tra i palazzi storici di Milano, la cui presenza accompagna da secoli il divenire della città.
Corso Monforte, oggi strada centrale che dà accesso al cuore di Milano, ovviamente non ha sempre avuto questo aspetto: chiudiamo gli occhi e voliamo indietro nel tempo, risalendo millenni di storia, per atterrare nel periodo a cavallo tra XII e XII secolo. In quegli anni il paesaggio urbano era completamente diverso rispetto a quello che ci si apre oggi allo sguardo: dimentichiamoci per un attimo dell’animazione che caratterizza queste strade, con il costante flusso di persone, tra chi si affretta verso incombenze lavorative, chi si gode una pausa ai tavoli di uno degli innumerevoli bar della zona, turisti dal ritmo più lento, in ammirazione delle architetture cittadine.
Questa, alla fine del XII secolo, era una zona situata all’esterno della cinta muraria e proprio qui, lungo una strada secondaria che uscendo da porta Orientale si dirigeva verso est, furono bruciati i cosiddetti “eretici di Monforte” per ordine dell’arcivescovo Ariberto: evento che rimase inciso nella memoria della città, legando il proprio nome in maniera indissolubile a quest’area della città. Zona dalle atmosfere sacre, che ha visto il sorgere e il proliferare di comunità monastiche, come i Poveri Cattolici, un gruppo di derivazione valdese che decise di stabilirsi qui agli inizi del XIII secolo. Ma a caratterizzare profondamente quest’area fuori dalla cerchia dei navigli, tra la strada del Monforte e il borgo di Porta Orientale, conosciuta come “prato comune”, furono soprattutto gli Umiliati, la cui influenza si estese progressivamente su tutto il territorio milanese. Tra corso Monforte e piazza San Babila, faceva infatti capolino la piccola chiesa, ormai scomparsa, di San Pietro in Monforte, cui faceva capo il nucleo originario della comunità degli Umiliati. Sparito l’ordine degli Umiliati, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, la chiesa e il monastero ospitarono dapprima la Scuola di San Biagio trasferitasi da San Primo per poi passare, nel 1616, ai padri Somaschi. Proprio a questi ultimi si deve il restauro dell’antico monastero: il cortile, tutt’ora esistente, era adibito a ospitare il loro nuovo Collegio. E se alle nostre orecchie il nome di questa istituzione dice poco, così non era all’epoca: le scuole dei padri Somaschi godevano infatti di un notevole prestigio, prova ne è che ne fu allievo un giovanissimo Alessandro Manzoni, sebbene nelle sue memorie definirà il collegio di Merate, da lui frequentato, un “sozzo ovile”.
Sul finire del 700, per la precisione nel 1782, qualche anno dopo il trasferimento dei padri Somaschi nel più ampio convento di San Gerolamo a Porta Vercellina, il complesso della chiesa e dell’annesso Collegio viene venduto all’avvocato Giovan Battista Diotti. E qui inizia la storia di quello che, da quel momento, diventerà, Palazzo Diotti.
I padri Somaschi
Prima di procedere nella descrizione di Palazzo Diotti, due parole sui padri Somaschi, la cui influenza fu fondamentale per il palazzo stesso. I padri somaschi erano chierici regolari e la loro congregazione prendeva il nome dalla frazione di Somasca, nella provincia di Lecco, in cui venne fondata nel 1538 a Somasca da san Girolamo Emiliani. Seguono la regola di s. Agostino. I somaschi seguono la regola di Sant’Agostino e, di conseguenza, hanno come missione speciale l’assistenza degli orfani e la cura delle anime della popolazione, con particolare riguardo all’educazione e istruzione della gioventù. Fu soprattutto l’aspetto educativo che permise il consolidamento e l’allargamento della congregazione: non a caso furono loro alunni, non solo il già citato Manzoni, ma altri personaggi illustri tra cui Apostolo Zeno, Gaspare Gozzi e Salvator Rosa. In tutta l’Italia Settentrionale, durante il periodo di maggiore espansione dei Somaschi, i collegi a loro gestiti erano più di 60, estendendosi nel territorio compreso tra Veneto e Lombardia: fra essi assai celebre era il Pontificio Collegio Clementino di Roma. La congregazione è tutt’ora presente e attiva e la casa madre si trova sempre a Somasca dove è sepolto il fondatore San Girolamo Emiliani.
Stemma padri Somaschi
Palazzo Diotti
Giovan Battista Diotti, il nuovo proprietario del complesso che fu dei padri Somaschi, era un avvocato con la passione per l’architettura, appartenente a una famiglia di recente ricchezza che, come altre famiglie nella medesima situazione socio-economica, mirava a elevare il proprio status di parvenu attraverso l’acquisto di un importante palazzo, che sottolineasse il prestigio acquisito dalla famiglia stessa. Fu proprio Giovan Battista a progettare il nuovo palazzo, con l’aiuto di un nome importante nella storia dell’architettura italiana, Giuseppe Piermarini il quale, tuttavia, non portò a compimento il progetto, lasciandone quindi la conclusione a Pietro Gilardoni, allievo di Leopoldo Pollack, con il quale, in anni successivi, collaborò nella realizzazione della facciata della basilica di San Vittore a Varese, nel 1791, e della Villa Belgioioso (oggi Villa Reale) a Milano, nel 1793.
Ma torniamo al nostro palazzo. Diotti decise di demolire la chiesa e ampliare il cortile con l’aggiunta di un primo e un secondo piano, che risaltano per l’originalità delle cariatidi che reggono il cornicione.
Originalità che invece non contraddistingue la facciata del palazzo, realizzata secondo il più rassicurante stile neoclassico. Due appartamenti gemelli, destinati ai due fratelli Diotti, sono situati a destra e a sinistra del grande cortile, entrambi dotati di un cortile di servizio. Furono inoltre costruiti un ampio e articolato cortile d’onore, oltre a un giardino arricchito di splendide piante ornamentali, realizzando un complesso armonico, pur nella compresenza di stili diversi.
Palazzo Diotti – scorcio cortile
Palazzo Diotti – cortile interno
I lavori di costruzione e ampliamento di quello che avrebbe dovuto costituire il punto di arrivo della famiglia Diotti terminarono nel 1785. Abbiamo usato volutamente il condizionale perché in realtà la famiglia Diotti poté godere di questo immobile di prestigio solo per 20 anni: la fortuna, si sa, è una ruota che gira e decise infatti di voltare le spalle ai Diotti che furono costretti, nel 1803, a vendere per 350.000 lire il palazzo al Governo della Repubblica Italiana, con a capo Napoleone Bonaparte. Da quel momento Palazzo Diotti subì diversi cambi di destinazione. Inizialmente il palazzo venne adibito a sede del Ministero degli Interni e della Giustizia del Regno d’Italia napoleonico mentre nel 1808 sede del Senato Consulto. Proprio in virtù delle nuove destinazioni d’uso di Palazzo Diotti, vennero approntanti importanti lavori di decorazione degli interni: così, ad esempio, le volte della sala e dell’antisala furono decorate dal pittore Andrea Appiani e dal decoratore e scenografo teatrale Clemente Isacchi mentre altre stanze verranno arricchite con decorazioni consone alle nuove funzioni assunte dall’edificio. Nel 1815 Palazzo Diotti divenne la sede della “Cesarea Reggenza” e successivamente della sezione politica del governo austriaco. Fu in questo periodo che l’architetto Pietro Gilardoni intervenne sull’edificio, realizzando la facciata esterna aggiungendo al centro il pronao su colonne doriche scanalate e il relativo balcone che contribuirono ad aumentare l’impressione di solennità dell’intero edificio.
Nel 1849 vi fu un nuovo cambio di destinazione, diventando il palazzo la dimora dell’austriaca Luogotenenza della Lombardia e infine nel 1859, dopo l’annessione all’Italia, venne insediata la Prefettura, che tuttora ha qui la propria sede.
L’imponente fronte del palazzo è composto da due avancorpi laterali e da un corpo centrale arretrato, soluzione questa che contribuisce alla creazione di un effetto prospettico estremamente armonico: al centro della facciata non può non risaltare il portale a pronao a quattro colonne di ordine dorico che regge un balcone, mentre il resto del pian terreno è decorato in bugnato liscio (il bugnato è una lavorazione muraria costituita da conci sporgenti lavorati, detti bugne e la variante liscia si ha nel caso di bugne dai contorni netti e superficie levigata). Mentre al piano nobile le finestre sono decorate con architravi sovrastati da timpani triangolari, al secondo piano le decorazioni delle finestre sono più semplici cornici in pietra.
La torre delle sirene
In un piccolo cortile, racchiuso proprio tra palazzo Diotti e palazzo Isimbardi, fa capolino una strana costruzione, un’architettura dall’aspetto misterioso e vagamente inquietante, conosciuta come la torre delle sirene. Si tratta di una struttura unica in quanto costituisce uno dei pochi esempi di rifugio antiaereo a torre (in termini tecnici un “rifugio antiaereo di tipo speciale in elevato”) ancora esistenti sul suolo nazionale. In realtà l’origine del nome con cui è conosciuta questa torre deriva da una delle funzioni cui era adibita: uno dei suoi piani, infatti, ospitava la centrale di comando delle sirene d’allarme della città, destinato a segnalare i velivoli nemici in avvicinamento, dando alla popolazione il tempo per trovare riparo in uno dei molteplici bunker della città. Si tratta di una torre che si sviluppa 28 metri, di cui 26 in elevato e i rimanenti metri sottoterra, i piani sono un totale di 8, di cui due sotterranei e un ulteriore piccolo vano sotto la punta della torre.
La torre delle sirene venne costruita nel 1939 e, evento piuttosto raro, al momento della sua edificazione venne prestata particolare attenzione all’ambiente circostante. Visti infatti gli edifici storici che facevano da cornice, si decise di dare alla torre una forma che non stonasse con i palazzi circostanti: venne quindi optato per conferire alla torre un aspetto che richiamasse una colonna dorica, attorniandola inoltre con sculture e rivestendone i primi sei metri con marmo pregiato, mentre il cemento armato con cui fu realizzata venne ricoperto mediante “membrature”. Inizialmente la torre era riservata a dare protezione al Prefetto, alla sua famiglia e al personale presente in Prefettura: ricordiamoci, infatti, che Palazzo Diotti eri da quasi un secolo stabile sede della Prefettura. Tuttavia nel 1940 il sindaco decise di requisire due piani della torre, proprio per installarvi la centrale di comando delle sirene di allarme antiaereo della città di Milano e l’apposito posto-comando della difesa antiaerea.
Palazzo Diotti era direttamente collegato con la torre delle sirene tramite due passerelle metalliche, oggi rimosse, che staccandosi dalla facciata interna del palazzo raggiungevano i due piani della Torre in corrispondenza degli unici accessi al rifugio, dotati di porte blindate antiscoppio e antigas. Attualmente l’unico accesso praticabile è una galleria che giunge al primo piano sotterraneo. Il passaggio tra i piani era garantito da scale di legno rimovibili e ogni piano era presumibilmente sigillato a pavimento mediante portelli metallici a tenuta stagna. In realtà le scale vennero sostituite in un secondo momento da scale metalliche fisse, posizionate nonostante le misure prese fossero in realtà sbagliate: come conseguenza i portelli furono bloccarti contro le pareti, diventando, di fatto, totalmente inservibili.
Il rifugio aveva in dotazione un impianto di ventilazione forzata così come un sistema di filtraggio dell’aria mentre mancava di servizi igienici eccettuato il piano che serviva a proteggere la famiglia del Prefetto, dove vi era giusto un lavandino con acqua corrente.
Come arrivare
Palazzo Diotti e l’annessa Torre delle sirene si trovano in corso Monforte 31, quindi facilmente raggiungibile dalla sede di International Residence in via Gustavo Modena. Sarà sufficiente una breve passeggiata di dieci minuti.
In alternativa è possibile utilizzare i mezzi del trasporto pubblico, le cui fermate sono tutte situate a brevi passi di distanza dalla sede di International Residence.