San Tommaso in Terramara, una chiesa dal nome suggestivo, in quella zona di Milano un tempo conosciuta come il Broletto: proprio in questa che ora è zona centrale dalle vetrine scintillante, un tempo zona malfamata, illuminata da edifici sacri come questa San Tommaso in Terramara, che si ergeva come un faro che rischiarava l’oscurità. Una chiesa in apparenza dimessa, nascosta tra le strette vie del centro di Milano, fuori dai più classici itinerari turistici.
- La storia di San Tommaso in Terramara
- La chiesa di San Tommaso in Terramara
- Il sestiere Comasina
- Come arrivare
- Approfondimenti
La storia di San Tommaso in Terramara
San Tomaso in Terramara o terra mala, una chiesa dal nome oscuro, il cui significa pare sia destinato a rimanere tale: non è stata infatti ancora chiarita l’origine di questa intitolazione così particolare. Quello che sappiamo con certezza è la tracciabilità delle prime notizie riguardante di San Tommaso in Terramara, databile a partire dal XI secolo: la chiesa appare nell’elenco delle chiese appartenenti al sestiere di Comasina, uno dei sei sestieri in cui era suddivisa la città di Milano. Come vedremo, i sestieri altro non erano che le zone in cui Milano era anticamente frazionata, zona circoscritte nei confini di quello che è attualmente il centro storico, delimitato dalla Cerchia dei Navigli, ovvero dal tracciato delle mura medievali di Milano, di cui la Cerchia costituiva originariamente il fossato difensivo. Ogni sestiere prendeva il nome dalla porta principale che si apriva nelle mura ed era ulteriormente suddiviso in cinque contrade. Per quanto riguarda l’etimologia del nome sestiere, per definizione il “sestiere” era la sesta parte di una città, ovvero una delle sei zone nelle quali un centro abitato poteva essere suddiviso. In particolare, il sestiere che qui ci interessa prendeva il suo nome dalla Porta Comasina, così chiamata in quanto da qui partiva l’arteria stradale che collegava Mediolanum a Comum ossia la nostra attuale Como.
Ma torniamo alla chiesa di San Tommaso in Terramara e vediamo le ipotesi e leggende che circolano sull’origine di questo nome così strano. Per sottolineare che siamo comunque nel campo delle mere speculazioni, riportiamo un brano di uno dei maggiori storici milanesi, Giorgio Giulini che nel XVIII secolo così si espresse proprio sulla provenienza della dicitura Terramara:
“Vediamo altresì che si trova dentro la città un sito chiamato Terra mala, da cui ha preso la denominazione la chiesa di san Tomaso soprannominata in terra mala, ora corrottamente in terra mara. Si può stabilire sicuramente che il sito della città, chiamato fin dal secolo XI Terra mala, abbia dato il soprannome alla chiesa di san Tomaso; per qual ragione poi quel sito così venisse addomandato, io non so dirlo, perché i motivi che volgarmente se ne adducono, non sono appoggiati ad alcun sodo fondamento” – Memorie spettanti alla storia: al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano ne’ secoli bassi, Milano 1854
Nel 1738 un altro importante storico milanese, Serviliano Latuada, nella sua Descrizione di Milano avanzò un’ipotesi plausibile sulla nascita di San Tommaso in Terramara. Seguendo la sua ricostruzione, la chiesa di San Tommaso, sarebbe stata in origine la cappella privata della famiglia dei Sigerii (da cui uno dei nomi con cui era conosciuta, San Tommaso in Cruce de Sigeriis) e situata nelle immediate vicinanze di un luogo deputato a eseguire le condanne a morte dei criminali. Da qui appunto sarebbe invalso non solo l’ulteriore nome della chiesa (San Tomaso in Cruce Sichariorum) ma anche l’uso popolare di riferirsi a quel medesimo luogo con il termine Terra Mala, appellativo che non ha bisogno di delucidazioni aggiuntive.
Un’ulteriore spiegazione che trova un certo sostegno da parte degli storici fa risalire la dicitura a popolazioni che si sarebbero rifugiate nella città di Milano per sfuggire alle invasioni barbariche succedutesi nel secolo XI e che per ricordo delle terre da cui provenivano avrebbero chiamato quell’area Terra Amara o Terra Mala.
Tra le leggende che immancabilmente aleggiano intorno ai luoghi sacri, circondati da un velo di mistero, riportiamo quella più affascinante, nata tra gli strati più popolari della cittadinanza. Secondo questa versione, l’appellativo Terramara avrebbe avuto origine da un episodio che vide come protagonista il potente Giovanni Maria Visconti, secondo duca di Milano.
Giovanni Maria Visconti
In realtà questa leggenda è doppia, presentando di sé due versioni lievemente differenti, sebbene con il medesimo epilogo. Nella prima versione di tale leggenda, Giovanni Maria Visconti si vide rifiutare, dal parroco della chiesa di San Tommaso, il permesso di seppellire il corpo di un uomo la cui vedova non aveva i mezzi per pagare il compenso al prete stesso. Il duca, furioso per tale rifiuto, vissuto come un vero e proprio sgarro al proprio onore, si vendicò nel peggiore dei modi: fece infatti seppellire vivo il prete nel medesimo cimitero, utilizzando, come se non bastasse, la stessa bara che avrebbe dovuto accogliere il corpo del marito defunto. L’altra versione differisce solo lievemente, perché in questo caso il corpo del contendere era del figlio di una contadina, morto a seguito della stessa malattia che le aveva strappato il marito un mese prima. La donna, oltre al dolore per il doppio lutto, era incorsa in un altro tremendo strazio: non potere dare al figlioletto una degna sepoltura poiché il prete della chiesa di san Tomaso (la parrocchia da cui dipendeva), si rifiutava di celebrare il funerale senza compenso adeguato. Il duca di Milano, mosso a compassione della donna e della sua sventurata sorte, decise di presentarsi personalmente al parroco per consegnargli una borsa colma del denaro necessario, con l’ordine di provvedere alle esequie il giorno successivo. Ma il Visconti non era certo soddisfatto: così, la mattina seguente, presenziò in incognito al funerale del piccolo, aspettando che venisse inumato per svelarsi nuovamente al parroco, cui intimò la restituzione del denaro, che venne consegnato alla donna sventurata. Dopodiché anche questa versione dell’episodio ebbe lo stesso macabro epilogo, con il prete che venne sepolto vivo nella stessa fossa che aveva accolto il feretro del fanciullo. Da questo episodio sarebbe nata la nomea di San Tommaso o Tomaso in Terra Amara o Terra Mala, poi contratto in Terramara o Terramala.
Il destino di San Tommaso in Terramara non è stato generoso: rimasta parrocchia della Diocesi di Milano dal XV secolo fino al 1955, venne poi declassata, sotto l’allora Arcivescovo Montini, ad una Rettoria della vicina parrocchia di Santa Maria del Carmine e Cappellania della comunità dei fedeli filippini milanesi. Le rettorie sono chiese che non potendo svolgere funzioni di parrocchia, dipendono dalla chiesa parrocchiale del luogo per tutto ciò che riguarda questioni canoniche e direttive pastorali. Inoltre presso San Tomaso sorge oggi una Casa per il clero, inaugurata il 23 marzo 1961 da Paolo VI, che dà ospitalità per lo più a sacerdoti anziani e ormai senza parrocchia, a preti in servizio nell’arcidiocesi ambrosiana e a preti e religiosi di passaggio.
La chiesa di San Tommaso in Terramara
La chiesa originaria di San Tommaso in Terramara è andata completamente distrutta: quella che possiamo ammirare oggi è infatti il frutto di una serie di interventi seicenteschi e neoclassici che hanno stravolto l’aspetto primitivo della chiesa stessa. Il primo di questi interventi di ricostruzione venne ordinato nel 1576 dal cardinale Carlo Borromeo il quale decise di riedificarla con un orientamento opposto rispetto a quello precedente per permette un accesso più agevole ai fedeli. Il progetto venne affidato a Giuseppe Meda, che per aveva già prestato la sua opera per il Borromeo, costruendo il cortile del seminario arcivescovile e dipingendo alcune tele destinate a decorare uno degli organi del duomo. Tuttavia l’edificazione della chiesa secondo le indicazioni di san Carlo Borromeo non fu mai del tutto ultimata e si dovettero attendere gli inizi dell’Ottocento affinché l’opera iniziata fosse completata seguendo questa volta il progetto dell’Arganini, mentre i lavori per la ricostruzione del campanile e della sacrestia vennero portati a termine più rapidamente. La facciata venne ricostruita interamente tra il 1825 e il 1827 dall’architetto Girolamo Arganini, i cui servigi erano richiesti soprattutto per l’abbellimento delle dimore signorili, come la Sala d’oro di Palazzo Spinola e il Palazzo Borromeo d’Adda. Lo stile dell’Arganini era chiaramente neoclassico e diede vita a un pronao esastilo, ossia un portico caratterizzato dalla presenza di sei colonne, dotato di frontone triangolare a parziale copertura del finestrone semicircolare.
L’interno della chiesa, a pianta longitudinale, presenta un’unica navata con cappelle laterali: l’abside semicircolare accoglie l’altare di stampo neoclassico, realizzato nel 1779 da Giuseppe Zanoia. Lungo la corsia centrale dell’unica navata il pavimento presenta un mosaico con motivo bucolico.
Diverse sono le opere d’arte sono conservate all’interno di San Tommaso in Terramara, tra cui la notevole Gloria di San Carlo Borromeo attribuito a Giulio Cesare Procaccini. Inoltre non si può non menzionare la Statua della Vergine, che venne traslata nella chiesa di San Tommaso durante una solenne processione la notte del 15 dicembre 1887, in seguito alla demolizione della chiesa di San Nazaro in Pietrasanta, in cui era originariamente custodita.
Gloria di San Carlo Borromeo – Giulio Cesare Procaccini, 1610 San Tommaso in Terramara – Statua della Vergine
Ma quello che costituisce motivo di pellegrinaggio alla chiesa di San Tommaso in Terramara è una reliquia particolare: una lapide in marmo, sulla sinistra dell’altare della cappella dell’Immacolata su cui si ritiene sia scolpita l’impronta del piede di Cristo.
Il sestiere Comasina
L’asse viario del sestiere di Porta Comasina, che collegava Milano con la città di Como, era uno dei più antichi della città meneghina, compreso tra la zona del Castello da un lato e il Naviglio di San Marco dall’altro e ad oggi identificabile con i tratti di via Broletto, Ponte Vetero, Mercato, (Pontaccio), corso Garibaldi.
Sappiamo che le porte della città davano i nomi ai vari sestieri, prendendoli a loro volta dalla direzione principale della strada che vi si apriva. In realtà il termine sestriere nasce nel Medioevo, quando la città venne suddivisa in sei settori grosso modi triangolari, il cui vertice era sempre la piazza dei Mercanti mentre uno dei lati era rappresentato dalle mura. Ogni sestiere era contraddistinto dal proprio stemma e si sviluppava a raggiera verso la periferia, suddividendosi in cinque contrade, ognuna dotata a sua volta di un proprio stendardo. Queste contrade erano dei veri e propri punti di riferimento per quelle che all’epoca venivano chiamate “vicinie”, ossia un insieme di persone abitanti nella medesima località con interessi o beni comuni. Le contrade erano quindi importanti centri di aggregazione dei sestieri, al punto che il termine stesso di “contrada” finì per assumere, con il trascorrere del tempo, il significato di “via” e utilizzato in gran parte della toponomastica lombarda fino all’unità d’Italia. Tutti i sestieri avevano la stessa organizzazione, con una contrada definita “nobile” in virtù della sua una posizione centrale rispetto all’abitato di Milano e di confinare con la Contrada dei Rostri, ossia la contrada “Capitana” di Milano, quella che ospitava il Palazzo della Ragione, ovvero il municipio della città, con i suoi uffici comunali (le Corte del Comune) e il locale dove era custodito il gonfalone municipale.
Sestieri e contrade di Milano
La suddivisione di Milano in sestieri si mantenne anche con la costruzione di nuove porte cittadine, che avvenne nel corso del XIX secolo, per poi essere definitivamente abolita con il primo piano regolatore della città, il piano Beruto, steso nel 1884 ed entrato in vigore nel 1889. Nonostante la loro abolizione, il senso di appartenenza dei cittadini ai propri sestieri si mantenne ancora a lungo, il che non è difficile da immaginare visto che ognuna di queste suddivisioni era contraddistinta da propri modi di vivere e tradizioni, oltre a una peculiare inflessione dialettale.
Stemmi delle contrade di Milano
Per quanto riguarda nello specifico il sestiere Comasina era suddiviso nel modo seguente:
• Nobile Contrada del Cordusio
• Contrada del Rovello
• Contrada dell’Orso
• Contrada del Campo
• Contrada dei Fiori
Ai giorni nostri, questa zona, smarrita ovviamente l’identificazione con la sua arteria principale, è conosciuta come Porta Garibaldi: a memoria delle antiche vestigia, qui si apre un tratto di strada chiuso al traffico, che prende il nome di corso Como, conosciuto soprattutto per la sua vita notturna. Il nome Comasina è stato oggetto di diverse modifiche, riflettendo i cambiamenti nella popolazione che ha abitato questi luoghi nel corso dei secoli. Già all’epoca dei romani, la strada che collegava le due città lombarde era detta, appunto, Comensis. Ma sappiamo anche che inizialmente, per un certo periodo, la lingua celtica continuò a sopravvivere accanto al latino: di conseguenza in età romana questa porta era chiamata anche “Comacina”, allo stesso modo in cui il lago era Comacino (e d’altronde l’isola del lago è ancora oggi isola Comacina). Durante il Medioevo si ebbe un cambiamento nella dicitura relativa, per cui tutto ciò che riguardava Como venne ribattezzato “Cumano”, per cui nei documenti, accanto all’antica dicitura Porta Comacina, troviamo “Porta Cumana” trasformata ai nostri giorni in Comasina, che dà il nome a un quartiere della periferia nord. Sempre in epoca medievale, con la costruzione delle nuove mura cittadine, più esterne rispetto a quelle precedenti, Porta Comasina venne spostata più esternamente lungo il nuovo vallo difensivo, seguendo sempre la direttrice della strada di riferimento. La stessa sorte la subì la Porta Comasina spagnola eretta anch’essa lungo le mura spagnole di Milano, che andarono a sostituire quelle medievali sempre lungo l’arteria stradale verso Como.
Porta Comasina – 1875