Simboli e leggende spesso si intrecciano per dare vita a storie affascinanti, che rappresentano le fondamenta culturali di una città. Simboli e leggende che sono però a rischio di scivolare dalla memoria, nel caso in cui il loro ricordo non venga mantenuto vivo se il loro ricordo non venisse mantenuto attraverso il potere della narrazione. Per questo motivo, iniziamo a con due di questi simboli di Milano.
Rechiamoci in Largo Augusto, attuale crocevia di traffico cittadino: sostiamo di fronte allo slargo, chiudiamo gli occhi e con uno sforzo di immaginazione scivoliamo indietro nel tempo, quando questa era tutt’altra zona rispetto a quella che ci si presenta oggi. Siamo infatti alla fine del ‘500 quando qui aveva sede di un importante mercato ortofrutticolo (l’antenato di quello odierno in viale Lombroso), il Verziere appunto. Ma questa non era l’unica differenza rispetto ai nostri giorni: la zona nei dintorni del Duomo era ben lontana dall’essere lo scenario di lusso, commerci, moda, ritrovi mondani cui siamo abituati. Al contrario, era zona di vie strette, mal frequentate, di umanità dedita a loschi traffici, in lotta per la propria sopravvivenza. L’igiene, già scarsa, era qui ancora peggiore rispetto ad altre zone e anche per questo venne duramente colpita da un’epidemia di peste. E proprio della peste la colonna del Verziere costituiva un monito, essendo stata innalzata come voto contro tale pandemia: si tratta di una colonna votiva di pietra, che porta sulla sommità la statua del Cristo Redentore. Il disegno della statua è di Francesco Maria Richini architetto che ha donato a Milano opere significative (ad esempio il Collegio dei Gesuiti, oggi Pinacoteca di Brera) mentre la sua realizzazione fu affidata a Giuseppe e Gian Battista Vismara. Siamo dunque alla fine di uno dei periodi storici contrassegnato dall’esplosione della peste, che in diverse ondate si abbatterà sull’Europa: quella di cui la colonna del Verziere è uno dei simboli è quella del 1576, passata alla storia come la “peste di San Carlo” del 1576, così chiamata perché vescovo della città era a quei tempi San Carlo Borromeo. È la stessa peste usata come modello da Manzoni per i capitoli XXXI e il XXXII dei Promessi Sposi e per La colonna Infame e che contò, alla fine, quasi 18000 morti. La colonna del Verziere venne appunto innalzata per esprimere un voto a Dio (“ex voto suscepto”, significa infatti “per voto fatto”): per la precisione per richiedere la fine dell’epidemia di peste. La sua base venne in seguito usata anche come altare per la celebrazione delle messe, a beneficio anche degli ammalati che potevano così assistere alle funzioni religiose. Possiamo rintracciare ulteriori simboli in questa colonna, anche se uno tra questi potrebbe essere considerato un po’forzato. La nostra colonna infatti è stata scherzosamente definita anche colonna infinita, perché nel complesso la sua costruzione ha richiesto quasi un secolo: 30 anni tra la data della progettazione e quella dell’inaugurazione (avvenuta il 27 agosto 1673) e altri 60 per il completamento dell’opera, con il posizionamento della statua alla sua sommità. I motivi di questi ritardi furono svariati: permessi non concessi, diatribe tra la Chiesa ambrosiana e i governatori spagnoli, problemi tecnici. Possiamo quindi spingerci a ritenere la colonna del Verziere uno dei simboli delle nostre grandi opere le cui date di completamento non solo non vengono mai rispettate ma spesso addirittura posticipate. Rimanendo in tema di simboli, uno è invece legato alla leggenda che circonda la statua alla sommità della colonna: l’immancabile “amor che move il sole e l’altre stelle”. Si narra infatti che il volto del Cristo fosse inizialmente rivolto verso il vicolo di San Bernardino dei morti ma che, mesi dopo, si fosse improvvisamente voltato altrove, verso via Durini. Per spiegare questo miracolo bisogna narrare la vicenda Barbarella, la più bella ragazza del rione Verziere, rapita da una banda di malviventi e salvata in extremis da un cavaliere. Come nelle più classiche delle storie, tra i due giovani nacque un amore appassionato ma, sempre come nelle più classiche delle storie, la tragedia era dietro l’angolo. Purtroppo il nostro cavaliere era sì un nobile ma costretto a vivere in clandestinità, poiché ricercato per un grave reato (sembra gli stessi genitori lo avessero denunciato per l’omicidio del fratello, per diverbio su presunte questioni di eredità). Dopo pochi mesi di amore clandestino, la mano della legge raggiunse i due innamorati: mentre Barbarella venne rilasciata, il giovane fu invece condannato a morte e giustiziato proprio in piazza del Verziere. Poco prima dell’esecuzione della condanna, Barbarella, distrutta dal dolore, si lanciò dal balcone della sua casa, che affacciava proprio sulla piazza. Fu proprio allora che il Cristo voltò lo sguardo, per non assistere a quella tragedia. Infine l’ultimo dei simboli legati alla colonna del Verziere ci porta al 1848, alle cinque giornate di Milano: sui lati del basamento della colonna vennero infatti incisi i nomi dei caduti in quelle storiche giornate (18 -22 marzo).
Tra i più antichi simboli di Milano troviamo la scrofa semilanuta: anche in questo caso siamo di fronte a una storia che riunisce elementi storici con elementi leggendari dando così origine a una narrazione ricca di fascino. In questo caso, la leggenda riguarda la fondazione di Milano da parte di Belloveso. Secondo lo storico Tito Livio nel 623 a.C. il re dei celti Ambigato decise di espandere il proprio territorio all’Italia settentrionale inviandovi in missione il nipote Belloveso. Quest’ultimo quindi si mise in marcia e attraversate le Alpi giunse in un’area ricca di simboli, essendo confluenza di tre corsi d’acqua (gli attuali fiumi Seveso, Lambro e Olona,) apparentemente ideale per edificare una città. Prima di dare il via a qualsiasi opera di edificazione, Belloveso decise di consultare gli oracoli, giusto per essere sicuro di non commettere qualche errore imperdonabile e la risposta dell’oracolo fu tipicamente enigmatica: la nuova città avrebbe avuto buona sorte soltanto se, nel punto esatto delle fondamenta, fosse passata una scrofa con il dorso ricoperto di lana. Un animale tipico della pianura padana insomma: e infatti, ecco apparire un bell’esemplare di femmina di cinghiale con la parte anteriore del corpo ricoperta di un lungo e folto pelo. E sempre in tema di simboli, come se non bastasse, per i celti la scrofa era un animale sacro: come si soul dire, due piccioni con una fava. Fu così che il luogo di avvistamento divenne il sito di edificazione di Medhe-lan, la futura Mediolanum. D’altra parte il nome latinizzato con cui venne conosciuta in seguito significava appunto sia “terra in mezzo alla pianura” sia “semi-lanuta”. La scrofa semilanuta rimase poi a lungo il simbolo ufficiale di Milano, fino all’avvento dei Visconti quando fu sostituita dal più conosciuto (e per alcuni più presentabile) biscione. Tuttavia in alcuni punti della città possiamo ancora imbatterci in qualche raffigurazione superstite di questo antico simbolo: in piazza dei Mercanti, sul secondo arco del Broletto è visibile un bassorilievo raffigurante la scrofa, rinvenuto nel 1233. Altre testimonianze sono presenti nello stemma posto nel cortile interno di Palazzo Marino e sul gonfalone ufficiale di Milano posto ai piedi della statua raffigurante Sant’Ambrogio
Simboli di Milano: la scrofa semilanuta in piazza dei Mercanti
Simboli di Milano: la scrofa semilanuta nello stemma di palazzo Marino
Finisce qui questa parte della nostra veloce narrazione di alcuni dei simboli di Milano.
Rischiando di ripeterci, ma è fondamentale mantenere viva la conoscenza delle nostre leggende e dei nostri simboli, oltre che dei nostri usi e costumi: perché costituiscono tutti il bagaglio culturale che fa di noi cittadini consapevoli del territorio. E infine, proprio per restare in tema di tradizioni, di seguito troverete approfondimenti su due piatti tipici della tradizione milanese La tradizione nel piatto: i Mondeghili